MANLIO TUMMOLO - UN INASCOLTATO


Concezioni filosofiche

Per quanto riguarda le concezioni teoriche, Manlio Tummolo condivide un’impostazione fortemente rigorosa sul piano logico ed etico del mazzinianesimo, a cui attribuisce una sistematicità generalmente negata, a causa della forma apparente degli scritti di Mazzini. Per una esatta comprensione del pensiero mazziniano, occorre saper distinguere il contenuto reale, ontologico o metafisico espresso dal Mazzini, dalla terminologia che spesso è letteraria, oratoria, poetica, simbolica o metaforica. Mazzini non aveva compiuto studi filosofici a livello accademico o professionale, ed in questo campo era piuttosto autodidatta: ciò non significa denigrazione o sottovalutazione del suo pensiero, ma chiarimento, per cui concetti filosofici di alto livello, pur ben presenti in lui, possono essere confusi a causa del linguaggio più generico, talvolta tecnicamente impreciso. Si tratta, per chi lo studi imparzialmente, di compiere uno sforzo concettuale e metodologico di comprensione, tutto sommato, non ciclopico né titanico nei suoi confronti .

Dei mazziniani attuali, in generale, non condivide l’ottimismo nei riguardi delle istituzioni che, storicamente, si sono instaurate in Italia e nel mondo: ad esempio, egli non ritiene affatto che l’attuale Stato sia effettivamente una “Repubblica”, neppure in generale, visto che tale principio corrisponde, come versione latina, al termine “Democrazia”, che è quello greco. Ora, se secondo Montesquieu ed altri, la Repubblica è “governo fondato sulla Virtù”, in nessun modo l’attuale regime politico può corrispondere a tale ideale etico-politico. “Democrazia”, inoltre, significa etimologicamente “Governo di Popolo”, ovvero della totalità dei cittadini, con l’unico limite dell’età ed, eventualmente, della provenienza e residenza. Ma “Governo” significa essenzialmente “capacità” e “consapevolezza” di governare. Di fatto, solo dove una maggioranza adeguata (il 60 %) della popolazione abbia una formazione ed educazione civico-politica tali da comprendere come debba funzionare lo Stato, a chi affidare la direzione legislativa, esecutiva e giudiziaria dello stesso, lì propriamente parlando si può parlare di effettiva “Democrazia”, e non di pseudo-democrazia, oligarchia più o meno ampia. Ora Manlio Tummolo è del tutto convinto che, ben lungi dall’avere un popolo sempre più educato, si ha una popolazione imbarbarita e rincitrullita, secondo il vecchio metodo imperiale romano del “panem et circenses”, che si cura solo dei propri personali ed egoistici interessi, cosa lontanissima dalla solidarietà necessaria in una Repubblica o Democrazia seriamente intesa .

In riferimento all’Europa, Manlio Tummolo ritiene che l’attuale Consiglio d’Europa e la stessa Unione Europea siano assolutamente d’ostacolo alla costituzione di uno Stato federale europeo repubblicano, tanto è vero che gli attuali Stati, alcuni dei quali retti formalmente a repubblica, altri a monarchia, non riusciranno mai a superare l’una o l’altra delle due forme, che di per sé sono inconciliabili (in quanto la monarchia è fondata sul principio dell’ereditarietà del potere, sia pure in senso simbolico; la repubblica è l’affermazione del potere collegiale che si può delegare provvisoriamente, non cedere o svendere: un problema che tanti europeisti e federalisti da quattro soldi non si sono neppure posti, pensando di risolvere ogni difficoltà con botteghe e denari comuni) ed, anche, ad uno Stato genericamente inteso che, comunque, abbia istituzioni identiche in ciascun componente nazionale. Ritiene inoltre che l’attuale Unione Europea, concentrando tutto il proprio potere deliberativo in organi non elettivi, non abbia neppure il requisito minimo per essere considerato una democrazia, anche nel suo più vago significato. Conseguentemente a questo modo di pensare, egli aveva mandato, in qualità di coordinatore del Gruppo Promotore U.P.S.CO., nel 2001 una petizione al Parlamento Europeo, affinché questo si assumesse la responsabilità di esautorare la Commissione Europea ed il Consiglio dei Ministri Europeo, di costituire un Governo Provvisorio europeo che indicesse, almeno negli Stati che avessero aderito, le elezioni per un’Assemblea Costituente Europea, unica forma democratica per discutere ed approvare seriamente una Costituzione valevole per tali Stati; invece, per coincidenza (?) a Laeken si stabilì di far predisporre un progetto “costituzionale” di tipo concessivo (come nelle vecchie monarchie dell’Ottocento, “octroyée”), che - com’è noto - finì per accumulare tutte le norme caotiche già esistenti, aver l’approvazione dei governi, ma non di alcune popolazioni (essenziale quella francese). Un segno inequivocabile di come non possa funzionare un simile agglomerato che rappresenta, non certo i popoli d’Europa ma esclusivamente gli interessi economico-finanziari di grossi gruppi plutocratici continentali e mondiali, è dato dal fatto che, mentre alcuni popoli - quasi tutti - possono deliberare con apposite votazioni la politica dell’Unione, altri (vedi soprattutto l’Italia) siano considerati politicamente minorati e quindi incapaci di deliberare alcunché, ma costretti a dover subire in silenzio ed obbedienza le decisioni del loro governo (e, dunque, l’uguaglianza fra Stati dov’è ?).

Per quanto riguarda le teorie sociali ed economiche, Manlio Tummolo si oppone nettamente al liberismo, che favorisce solo i ricchi (individui, famiglie, gruppi ristretti), contro i poveri (individui ed intere popolazioni). Ritiene che ogni ricchezza debba essere fondata sul lavoro e sul pieno godimento dei frutti di questo lavoro: per cui il concetto di lavoro “dipendente” è null’altro che il residuo di forme schiavistiche, più o meno ben travestite. Ritiene ancora che ogni sfruttamento del lavoro debba essere abrogato, quantunque ciò sarà possibile solo per gradi, partendo dalle forme cooperativistiche pure che elimineranno lo sfruttamento dell’opera umana nelle sue forme dirette ed indirette, sulla base dello stesso principio di concorrenza, sostenuto a parole dal liberismo (il quale applica tale principio sulla base del criterio della forza, economica, finanziaria e talvolta armata, e col fine di ottenere oligopòli prima, monopòli poi), che richiede la compresenza di più entità economiche che gareggino non tanto sul piano dei costi, quanto della qualità ed, eventualmente, dell’estetica del prodotto (a qualità e prezzo analoghi), in modo che il pubblico possa scegliere sulla base di motivazioni non puramente quantitative. E’ evidente che prodotti di scarto vengono acquistati solo da chi non possa permettersi nulla di più. L’attuale società, sia sulla spinta di pressioni della grande finanza internazionale, sia per incapacità di pensare altrimenti, funziona in modo assolutamente contrario e tende, soprattutto negli ultimi due decenni, a ripristinare le grandi differenze tra classi ricche (numericamente ristrettissime) e classi povere (numerosissime), in modo da potere accentuare sempre di più l’antico, ma sempre attuale, desiderio di sopraffazione, di sfruttamento dei pochi sui molti. Se avessimo uno Stato federale europeo, seriamente organizzato, le conquiste sociali, che stanno dappertutto crollando, potrebbero essere non solo consolidate ma ampliate, visto che, per evidenti motivi, tanto più evidenti in Italia, nessuno Stato singolo oggi può tentare di mantenere tali conquiste sociali, senza che venga schiacciato dalle grandi Potenze economiche (Stati e gruppi finanziari) .

Esperienze personali di questi ultimi venti anni e i recenti studi di giurisprudenza gli hanno inoltre chiarito un’importante problematica: quella del Diritto e della mentalità che lo sovrintende, mentalità che pretende sì di fondarsi su criteri scientifici (ma non si dice quali…), che però in realtà, come recenti studi della Faralli o ancor prima di Hoegerstroem hanno analizzato, se non dimostrato, essa si fonda su principi magici, irrazionali o prerazionali, di derivazione religiosa (non a caso, tra tutti i popoli, romano compreso, il Diritto nasce a livello sacerdotale, ed i primi giudici sono sacerdoti). Etimologicamente, la parola JUS, che con molta libertà, ed irrazionalità, si è resa con “Diritto”, quando nulla di diritto, ma troppo di contorto sussiste in tale mentalità, ha un significato religioso e si collega con la divinità. Sicché negli operatori del Diritto, particolarmente tra i magistrati giudicanti, si ha la non piccola pretesa di sentirsi ispirati dalla Divinità, e per questo hanno bisogno di una “camera di consiglio” (anche quando sono soli). Solo dopo l’ispirazione (analoga alla profezia), hanno bisogno di un mese e più (talvolta, come si è visto, non bastano 8 anni !) per capire quali siano le motivazioni (razionali o pseudorazionali), per giustificare la loro sentenza. Ora, Manlio Tummolo sostiene, sulla scia di vari critici del Diritto, che sia necessario che lo studio della legge e della legislazione sia fondato su rigorosi criteri razionali, ovvero logici, e non su ispirazioni provenienti dal cielo: di qui, tutto il processo di legiferazione, interpretazione e, soprattutto, applicazione della Legge deve essere logico, quindi non contraddittorio. Non si tratta di seguire letteralmente una forma (il colore nero ed i pendagli d’oro delle toghe, residuo del crisma sacerdotale e sacrale del giudizio), ma di cogliere la coerenza logica, e di qui etica, dei giudizi.
Ora, un tale modo di procedere, di studio e di applicazione, va chiamato, in opposizione all’irrazionalistico Diritto fondato sempre sulla forza (essendo la divinità profetante una pura fantasia inesistente, ne consegue ovviamente che il preteso Ispirato segua la prevalenza e la sopraffazione del più forte contro il più debole) NOMOLOGIA. Tale termine, nella Grecia attuale ed anche nei paesi di lingua spagnola, viene perlopiù identificato col Diritto e la giurisprudenza. Al Tummolo, appare invece opportuno identificare in questo termine una Scienza epistemologicamente fondata, critica, logica, razionale ed etica, della Legge e della Legislazione, secondo una tradizione relativamente recente (risale al XVIII secolo), che a sua volta dia una struttura altrettanto epistemologicamente fondata alla teoria politica, essendo la Scienza della Legge una sorta di ponte tra Morale e Politica. Per “scienza epistemologicamente fondata”, si intende una qualunque scienza, generale o specifica, che sia consapevole dello stretto rapporto tra il suo contenuto ed il metodo di ricerca, tra i mezzi e gli obiettivi della ricerca stessa. Una tale impostazione è stata variamente tentata da filosofi, ma è completamente sfuggita ai teorici ed operatori del Diritto, i quali, felici delle loro consunte formule e di procedure esauste, non si pongono neppure un tale problema, ritenendolo frutto di irrealismo o di spirito letterario e poetico. Solo attraverso una tale rivoluzione di mentalità, la speranza di un perfezionamento della Legge e della sua applicazione ai casi sottoposti a giudizio può farsi concreta ed efficace. Per intenderci ancor più concretamente, alla domanda di quale possa essere la differenza tra un nomologo, in quanto studioso critico della Legge e della legislazione, ed un avvocato, possiamo dire che, senza quest'ultimo non si possono vincere o perdere delle cause giudiziarie perché rivolgersi al'avvocato è generalmente obbligatorio per legge, mentre se si vuole capire il perché la causa è stata persa o vinta, occorre rivolgersi ad un nomologo. A che serve ? Serve a vincere di nuovo ma con maggior consapevolezza, o a ridurre le probabilità di una nuova sconfitta .
    
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