PER UNA REPUBBLICA FEDERALE EUROPEA - ARTICOLI DI MANLIO TUMMOLO

I seguenti articoli e scritti vengono posti in ordine cronologico. A premessa, tuttavia, antepongo una breve sintesi espositiva sull'europeismo mazziniano. Spesso Giuseppe Mazzini viene accusato di genericità sul concetto giuridico-politico di Europa. Non si capisce se egli avesse voluto un sistema confederale, federale, oppure una semplice alleanza. Qualcuno, non comprendendo nulla della natura del suo pensiero, ritiene che, relativamente all'Europa, vi sia stata addirittura un'involuzione, dal federalismo al concetto di allenza politico-militare. Nulla di tutto questo denota onesta capacità di comprensione. Innanzitutto Mazzini non vede l'Europa come qualcosa di fine a se stesso, ma ne vede l'unità come una premessa dell'unità umana. Tanto è vero che egli allegò allo Statuto della Giovine Europa, un Atto, rimasto inedito per qualche anno, dove propose appunto tale principio dell'Europa unita premessa dell'Umanità unita, unità dei popoli che doveva trovare nella costituzione di Stati nazionali ben organizzati al loro interno, la premessa fondamentale. La Nazione sta all'Umanità come una leva e come un tramite tra l'individuo singolo e l'Umanità nel suo complesso. Il cosmopolitismo, che voglia prescindere dalla Nazione, finisce per essere un fatto ideale, ma non efficace, nè effettivo. Detto questo, l'unità europea va concepita non come una realizzazione immediata, ma come un processo, squisitamente politico e giuridico, prima che economico. Mazzini rifiuta il giobertismo, non solo per l'Italia ma per l'Europa e per il mondo. L'idea, di partire dalla produzione di biade e di apparecchi industriali per giungere all'unità europea, gli sarebbe parsa del tutto peregrina. Egli, dunque, concepisce il processo unitario in Europa come un fatto graduale e progressivo, nel quale l'Italia avrebbe avuto un ruolo importante: una volta realizzata la propria unità, essa avrebbe costituito un forte polo di attrazione per i piccoli Stati, che ne avrebbero chiesto l'alleanza. Di qui la costituzione di grandi blocchi nazionali, costituiti da Stati unitari e da Confederazioni (quale l'Iberica, l'Alpina, la Danubiana, la Balcanica), tutti a forte struttura organizzativa politica e sociale democratica, Dall'alleanza così estesa, sulla base di identici princìpi politico-sociali (nonché etico-religiosi), si sarebbe passati ad un primo sistema confederale e da lì ad un sistema federale vero e proprio, mentre nel frattempo altri continenti (l'America sorattutto) si sarebbero coordinati in modo analogo. Ecco perché nel mio libro, tuttora ahimé inedito, "LA FILOSOFIA DI GIUSEPPE MAZZINI nella sua attuazione religiosa, morale, politica e sociale" ho dedicato un paragrafo col titolo "La Confederazione" a questo aspetto del suo pensiero: confederazione, non nel senso istituzionale semplicemente, ma in quello di processo graduale di unificazione .
Non va, infine, dimenticato che Mazzini non si limita agli auspici. Organizza dei movimenti di una qualche importanza, tanto da rovinare i sonni di Metternich, soprattutto con la fondazione della "Giovine Europa" (1834), del Comitato Democratico Europeo (1850) e, contro l'Associazione Internazionale dei Lavoratori, di Marx, Engels e Bakunin, dell'Alleanza Repubblicana Universale (1871), che non potè consolidarsi a causa della sua morte e, soprattutto, per le limitate capacità organizzative e di combattimento di coloro che lo avevano sostituito in modo scarsamente efficace. Tuttavia, malgrado l'apparente fallimento, anche queste tre organizzazioni comprovano la capacità di realizzazione, unita a quella di teorizzazione, dell'ideale unitario europeo e mondiale nel grande Italiano.



Quello seguente è un intervento, da me presentato ma non potuto pronunciare per cause (dis-)organizzative al Congresso di Napoli dell'Associazione Mazziniana Italiana nel 1977. Il testo è inedito, come tutti quelli che seguono, salvo la petizione al Parlamento Europeo .

"QUALE EUROPA NEGHIAMO E QUALE EUROPA VOGLIAMO" - Intervento al XV Congresso Nazionale dell'A.M.I., 24 - 25 settembre 1977, Napoli .
Se non vi spiace, desidero ricollegarmi, come premessa, alla definizione, che il nostro presidente Tramarollo ci dà, di anacronistici. Definizione esattissima: se l'onestà, la serietà morale, politica e sociale, il senso del dovere, la coerenza nelle idee e la corrispondenza dell'azione al pensiero sono doti anacronistiche, noi siamo anacronistici; ed è chiaro che di questo anacronismo noi siamo fierissimi. Resta inteso, d'altronde, che proprio oggi, quando questi valori sono smarriti, rimane valida l'esigenza, del tuto inconsapevole però, di un pieno ritorno di tutti ad una tale concezione morale della vita: in questo senso, il nostro pensiero è attualissimo, e risulta evidente che di una tale attualità noi siamo orgogliosi .
Desidero osservare, però, che proprio in base a tale premessa, dobbiamo condurre fino in fondo certe osservazioni che il presidente Tramarollo fa nella sua relazione: occorre, credo, rendere evidenti i rischi di un'equivocità dei termini che oggi minaccia l'idea dell'Europa, Ciò non significa discutere su semplici parole, ma sulle cose e sui fatti ai quali quelle parole si riferiscono. Ricorderò, di passaggio, i termini "Repubblica" e "Democrazia" divenuti sinonimi di uno Stato demagogicamente caotico e di un'oligarchia impotente; ricorderò la parola "Riforma", indicante ora i palliativi, spesso aggravanti il male, che la nostra classe politica ci regala, come se fossero pilole o caramelle, senza nessun legame fra loro e in se stessi; ricorderò la parla "Decentramento amministrativo" divenuto sinonimo di polverizzazione della nazionalità, mentre, d'altro lato, continua l'esasperato concentramento burocratico.
Ebbene, dobbiamo impedire che si coinvolgano, in questi equivoci, anche il concetto e il termine di Europa. Dobbiamo dire che dell'Europa e dell'unità europea si sta facendo volutamente una nefasta confusione. Noi, eredi della scuola repubblicana e mazziniana, maestra sempre di coerenti princìpi politici, dobbiamo indicare fin d'ora a voce alta quale Europa neghiamo e quale Europa vogliamo.
Rifiutiamo, innanzitutto, un'Europa come la desidera la Democrazia Cristiana, ossia una sorta di riedizione del Sacro Romano Impero, retto in base a princìpi guelfi o neoguelfi, e che vi corrisponda all'incirca anche territorialmente; un incrocio, questo sì del tutto anacronistico, fra gli Stati moderni e i piccoli feudi dell'Alto Medioevo. Non è un caso, infatti, che nel Friuli, all'inizio di quest'anno, si sia celebrato il IX Centenario del Patriarcato di Aquileia, feudo ecclesiastico tedesco, che fornì truppe contro il Comune di Milano: è evidente che una tale celebrazione è contraria a tutto il processo unitario italiano. Si noti, tra l'altro, che si è fatta tale celebrazione nel nome di un preteso "Stato indipendente" del Friuli. Quale indipendenza poi, quando tutti o quasi i patriarchi erano tesi, sarebbe proprio il caso di spiegare !
E' ovvio che respingiamo anche, con altrettanta fermezza, l'idea di una Mitteleuropa, termine ibrido in cui si nasconde un affettuoso ricordo per l'Impero austro-ungarico. Infatti, non è un caso anche qui che a Cormòns, in provincia di Gorizia, si sia festeggiato con manifestazione pubblica il genetliaco dell'imperatore Francesco Giuseppe, nel nome di una pretesa civiltà mitteleuropea che, a parte la letteratura, non è mai esistita, ma esprime la nostalgia per quella che Cattaneo e Mazzini chiamavano la Cina d'Europa.
Non possiamo inoltre che irridere e rifiutare un'Europa che serva per giustificare quello specchietto per allodole, che i giornalisti hanno denominato "eurocomunismo", desiderio di rendere del tutto comunista anche l'Europa occidentale, per ovvi motivi asservita all'Unione Sovietica. Il prefisso "euro" sta diventando come uno di quegli aggettivi che vengono applicati a tutto, ma senza senso. Come nell'esercito coltelli a serramanico e mutande vengono definiti "tattici", e come all'Università la pausa tra le lezioni viene definita "quarto d'ora accademico", così per l'Europa anche il comunismo è divenuto "europeo". come se gli Stati comunisti si trovassero in qualche altro continente.
Dietro a queste menzogne, però, vi è non solo l'idea, ma il fatto di un'Europa che andrebbe progressivamente unendosi: parlo sprattutto della Comunità Europea. Essa è nata in mezzo a giuste aspirazioni, ma con un marchio iniziale negativo: l'illusione, che possiamo definire giobertiana, che dall'unità economica si possa passare a quella sociale, politica, morale. Il procedimento mazziniano è inverso: noi possiamo dire che, senza un'educazione e senza una coscienza morale europea, non esiste e non potrà esistere un'Europa unita, e l'Europa non è solo, sia ben chiaro, quella occidentale.
Non possiamo che negare una Comunità europea che serva da pretesto per aumenti di prezzi: da qualche tempo in qua, infatti, l'aumento dei prezzi viene chiamato "adeguamento ai prezzi europei". Cosa strana, questo adeguamente è sempre verso l'alto, mai verso il basso.
Non si può parlare di una unione economica, quando in Francia si distrugge il vino italiano e il governo italiano dà segni di fastidio e di paura, quando, cessato il franchismo, la Spagna chiede di entrare nella Comunità Europea, perché potrebbe far concorrenza ai nostri prodotti [1]. Né, è ovvio, possiamo credere ad un'Europa dove, se l'Italia produce più zucchero, debba pagare una multa che ricade sui suoi cittadini, e se produce più fruta, debba distruggerla, per non turbare l'alto costo della vita europea.
Sull'unità morale è bene ridere, per non disperarsi, quando ci si sente accusare di essere una nazione di ladri e di assassini, mangiatori di spaghetti conditi con pistole. La fuga di Kappler, coi fatti seguenti, è un'ulteriore prova, ormai già superflua. Tali cose si dicono e si fanno ad una Nazione che, come la nostra (anche se si cerca di ignorarlo troppo spesso) conta due millenni e mezzo di civiltà. Né vi è da meravigliarsi se gli stranieri ci ritengono una nazione incivile, dato che siamo i primi a far vanto di ciò e grazie soprattutto ad un sistema di governo fondato sul'accattonaggio all'estero, sulla rapina all'interno.
Assai giustamente ha rilevato il nostro presidente l'affinità del Trattato di Helsinki con il Congresso di Vienna: allora e adesso i governi hanno deciso di scavalcare i popoli, spartendosi l'Europa. Il Trattato di Osimo ne è stata la prima, e ovviamente più facile, conseguenza: nessuna Nazione al mondo, come la nostra, piange e continua a piangere sulle disfatte subìte. Nemmeno noi Italiani, dopo il Congresso di Vienna, continuammo a piangere in eterno sulle disfatte napoleoniche. Cinque anni dopo quel Congresso, gli Italiani cominciarono a risorgere e ad insorgere: perchè oggi, dopo oltre trent'anni, continuiamo a lacrimare disperati sulla disfatta fascista ? Forse perchè i tempi sono cambiati ? Forse perchè la pace regna sovrana ? Forse perché il governo jugoslavo è largamente democratico e fa vivere liberamente i suoi cittadini ? Nulla di tutto questo: il guaio è che la nostra classe politica ha il complesso d'inferiorità del fascismo (come se il comunismo di Tito fosse migliore !), vede ne patriottismo e nel senso di dignità nazionale un aspetto fascista, ed è così sempre pronta a cedere di tutto. Se i Borboni desiderassero tornare in possessso del Regno delle Due Sicilie
e gli Austriaci del Lombardo-Veneto, gli Absburgo-Lorena della Toscana e il Papa dello Stato Pontificio (oggi però esteso a tutta l'Italia), è assai probabile che la nostra classe politica cederebbe tutto, per amore della pace e nel rispetto dei trattati internazionali, magari quello di Vienna del 1815 o quello di Aquisgrana del 1748 .
Si dica, invece, apertamente che il governo comunista di Josip Broz, alle dipendenze del quale circolano indisturbati e con onore molti criminali di guerra ed infoibatori di cittadini italiani, non fascisti ed anche antifascisti, è un regime tirannico col quale ogni trattato che riguardi i confini è moralmente non valido, e da considerare come un nuovo passo verso la progressiva, anche se lenta, snazionalizzazione delle terre orientali, iniziata non a caso sotto gli Absburgo. Per il governo jugoslavo il fascismo è un buon pretesto: ma Trieste e altre zone, già italiane nel 1866, furono chieste fin dal termne della Prima Guerra mondiale. Questo, la nostra classe politica vuol dimenticarlo .
E’ ben vero e giusto che le minoranze etnico-linguistiche debbano avere il diritto di parlare liberamente la loro lingua, ma è ancor più giusto, credo, che alla maggioranza non debba essere imposto per gradi l’obbligo di imparare quelle lingue, come sta accadendo a Trieste. I passi previsti sono quattro: il primo è ottenere la libertà di parlare la propria lingua, da parte della minoranza; il secondo è la parità fra la lingua della maggioranza e quella della minoranza, ossia il bilinguismo. In tal modo, si ha il rovesciamento della situazione: la minoranza, la cui lingua è ora parlata da tutti, può dichiararsi maggioranza; così l’ultimo passo è impedire all’ex-maggioranza di parlare la propria lingua. Il primo passo è giusto, il secondo è pericoloso, gli altri due provocano la snazionalizzazione di una certa zona. Salvo che dopo la Seconda Guerra Mondiale, il procedimento di snazionalizzazione delle terre orientali è avvenuto pacificamente: ma il fatto che sia stato pacifico non prova che sia stato giusto. Col Trattato di Osimo, pattuito fra due governi sulla testa di due popoli, si apre la strada per una nuova snazionalizzazione, sia con i previsti massicci trasferimenti di popolazioni, alla maniera degli imperatori bizantini ereditata dagli Absburgo [2], sia con lente infiltrazioni, sia infine con la diffusione sempre più forte delle lingue jugoslave. Già infatti le pretese jugoslave, dalle province di Trieste e Gorizia, si estendono, per ora molto blandamente, al Friuli [3] .
Non possiamo dunque accettare, credendo mazzinianamente che il rispetto e lo sviluppo delle nazionalità, siano la base per l’unità dei popoli, l’idea di un’Europa e l’idea di un’Italia, dove minoranze etniche e linguistiche vere o inventate (non vedete infatti che da qualche anno spuntano minoranze da ogni parte e di ogni genere, etniche, linguistiche, e perfino sessuali ? come se essere oggi una minoranza sia un particolare titolo onorifico !) soffochino o disgreghino le maggioranze. Il saggio di Arcangelo Ghisleri “Il concetto etico di Nazione e l’autodeterminazione nelle zone contestate” è per noi ancora del tutto valido.
Torno alla Comunità Europea: chi di voi ha letto l’opera di Fritz Fischer “Assalto al Potere Mondiale” (ed. EINAUDI) sui progetti dell’imperialismo germanico durante la Prima Guerra Mondiale, avrà notato certamente l’affinità fra l’odierna Comunità Europea e le unioni economiche previste dai governanti germanici. Non è un caso infatti che in questo tipo di comunità ci guadagnino solo e sempre gli Stati più forti e non è un caso che oggi la Germania sia l’unica a navigare bene, nel mezzo delle crisi altrui .
Inoltre, personalmente, non ho alcuna fiducia nella generosità e nell’onestà dei governi stranieri verso di noi: infatti, certi discorsi, a cui il nostro presidente accenna, del Fondo Monetario Internazionale e della Comunità Europea non sono accettabili: qui mi riferisco soprattutto a quello sul costo del lavoro, una di quelle espressioni che viene falsata da finanzieri e capitalisti, e oggi anche dalla classe politica e sindacale. Quando si intendono per costo del lavoro la retribuzione e le varie assicurazioni per i lavoratori, dobbiamo dire che è pagato dal lavoro stesso e che, semmai, è troppo basso rispetto al costo del parassitismo capitalistico. Per noi, invece, il costo del lavoro, vero e proprio, è quello che i lavoratori hanno pagato e pagano quasi sempre con la loro salute, spesso con la propria vita. Ed è questo costo del lavoro che si deve, non solo diminuire, ma annullare .
Questa Europa dei finanzieri, dei capitalisti, dei parassiti, questa Europa limitata nello spazio e nei fini, priva di coerenti princìpi, questa Europa che serve da alibi ad una marea di sciocchezze e di falsificazioni, noi dobbiamo rifiutarla e denunciarla.
Né l’Europa si farà mai, finché sarà divisa in due blocchi [4], l’uno composto da Stati oligarchici con libertà violata dalla ricchezza e dalla corruzione, l’altro da Stati retti da regimi tirannici, asserviti sotto ogni aspetto all’Unione Sovietica.
Noi non possiamo credere che l’Europa coincida con una parte di essa, più piccola o più grande a seconda degli Stati e dei governi che accettino di farvi parte. Per noi, l’Europa è, geograficamente, tutta l’Europa; politicamente, lo sarà quando le Nazioni, rette da sistemi democratici, moralmente, politicamente, socialmente avanzati, coscienti di un fine comune da raggiungere, si uniranno nel nome e nel fatto con princìpi e leggi fondamentali uguali.
Noi dobbiamo credere in un’Europa in cui i regimi oligarchici occidentali e quelli tirannici orientali saranno, presto o tardi, abbattuti. Noi sappiamo che la Russia e le Nazioni dell’Europa centrale sono parte integrante dell’Europa: perciò non possiamo che augurarci che la strada, iniziata in Russia con la rivoluzione del febbraio 1917 e interrotta da quello che, per noi, è il colpo di stato bolscevico dell’ottobre, venga prima o poi ripresa. Solo a queste condizioni, l’unità europea sarà realmente tale.
E crediamo infine che l’unità europea così raggiunta avrà il compito storico di indicare all’intera umanità le vie della sua unità morale, politica, sociale. La pace, come scrisse Mazzini, ne sarà la naturale e inevitabile conseguenza, ma solo a questa condizione.
Gli uomini che si vantano “pratici”, diranno che questa è utopia, ma io, come voi, credo che queste siano le “utopie” che fanno progredire realmente i popoli. Le soluzioni pratiche, moderate, frutto di compromessi, sono forse facili da realizzare subito, ma certamente per nulla durevoli.
Quale dunque può essere la via per la quale indirizzarci ? Solo la chiara consapevolezza del fine da raggiungere e delle difficoltà reali, che sono enormi, possono indicare il giusto metodo, che non è quello che dà risultati immediati, bensì risultati duraturi.
Il Parlamento Europeo può, dal nostro punto di vista, essere una valida occasione non tanto per sé, viste le condizioni in cui nasce, ma per la possibilità che un partito, ricco di una forte tradizione, come quello repubblicano, abbia di incontro, di conoscenza e di diffusione reciproca di idee con altri affini partiti politici stranieri, anche se piccoli. Si tratta insomma, non di tentare di infilarsi in una qualsiasi Internazionale, sia essa socialista o liberale (come è avvenuto) o democristiana, bensì di costituire una nuova Alleanza Repubblicana Universale, sul tipo di quella fondata da Mazzini. Questo, il Partito Repubblicano potrebbe, se non altro, tentar di fare, se avesse ancora coscienza, come dovrebbe, dei suoi princìpi e della sua storia.
Quanto a noi, mazziniani, legati dalle idee, anche se non più dalla pratica politica, al Partito Repubblicano, possiamo e dobbiamo diventarne la coscienza critica, in modo che ritorni alle sue vere tradizioni, che non sono quelle di un partito liberale moderato, ma di un partito rivoluzionario: e ciò vale tanto più per quei mazziniani che sono iscritti e operano anche nel Partito Repubblicano. L’unità europea può essere una potente spinta di progresso per l’intera civiltà umana, ma solo a patto di averne piena consapevolezza e volontà d’attuazione in tutte le sue conseguenze, vicine o lontane, per questo secolo o per il prossimo .

NOTE :
[1] proprio durante tale Congresso, Francesco Compagna, in qualità di esperto economico del PRI, intervenne con classico accento partenopeo, dicendo "Prometto che vi parlerò di pomodori, ma non solo di pomodori". Il prof. Compagna non ebbe poi occasione di scoprire che la concorrenza in tema di pomodori ci venne addirittura dalle serre dell'Olanda ! (agosto 2009, come le note seguenti) .
[2] A questi andrebbero aggiunti i Turchi, in modo tale che nel corso del Medioevo e dell'età moderna, vi furono notevoli spostamenti di popolazioni non solo slave, ma anche romeno-valacche ed albanesi (cause non lontanissime degli ancora attuali contrasti: cfr. particolarmente il Kossovo). Riguardo ai nostri confini orientali va ricordata la Guerra di Gradisca (XVII secolo), che si concluse con lo spostamento verso la zona giulia delle popolazioni marittime che esercitavano in Liburnia la pirateria contro Venezia, ovvero gli Uscocchi .
[3] Allo stato attuale, malgrado la caduta del regime titoista, certa politica d'espansione "culturale" è proseguita da Slovenia e Croazia, anche con l'appoggio di elementi friulani. Infatti, ci si vanta di essere costituiti da genti venute dai vicini Paesi, al tempo dei Patriarchi oppure di Venezia, spesso approfittando della confusione etimologica tra il termine "sclavus" (schiavo o servo della gleba, ma anche "slavo") e quello di slavo puro e semplice. Nella formulazione di una pretesa lingua "friulana" si stanno adottando i segni diacritici per rafforzare questa pretesa origine. Io, al contrario, come sostenuto nel mio lavoro "LA QUESTIONE JUGOSLAVA E LE SUE IMPLICAZIONI CON L'ITALIA" (1996), di cui ho tuttora copie disponibili, ho dimostrato che il Friuli è essenzialmente neo-latino. Del resto, Pier Silverio Leicht, certo non di origine italica, ma sicuramente di sentimenti italiani, scrisse quei celebri versi :
"Contadino che rompi la terra di Aquileia,
ferma i buoi un momento:
sotto i campi che l'aratro ara,
sotto la mano che semina il frumento,
nel Sole e fra l'ombra del nuvolo,
c'è un'impronta di Roma.
E' l'impronta del nostro Friuli ".
[4] Posso essere legittimamente orgoglioso di essere stato uno dei pochi, in quegli anni ancora di timore della potenza sovietica, ad averne previsto ed auspicato la caduta. Sventuratamente, ciò, a causa dell'inettitudine occidentale e dell'incapacità di costruire una nuova società, non ha ancora comportato i progressi auspicati, ma essi dipendono solo da noi Europei .




[NOTA: Il seguente articolo, del dicembre 1987, fu inviato a “Il Pensiero Mazziniano”, ma non da esso pubblicato. Ne approfitto per ricordare che, finché questa rivista, organo ufficiale dell’Associazione Mazziniana Italiana, restò mensile e sotto la direzione, prima di Vittorio Parmentola a Torino, poi del prof. Luigi Bisicchia a Cremona, ebbi sempre spazio a disposizione per la pubblicazione dei miei articoli. Dopo che fu trasformato in rivista trimestrale e sotto altri direttori, compreso l’attuale, che io scrivessi poco oppure a lungo, non ricevetti mai alcuna pubblicazione, e neppure risposte. Chissà per quali misteriose ragioni di incompatibilità… Sta di fatto che, venendo in mano a docenti universitari, evidentemente solo questi erano ritenuti meritevoli di pubblicazione. Un professore di Liceo, già maestro elementare, probabilmente non era ritenuto dai nuovi dirigenti all’altezza di tanti grandiosi progetti]

UNA DIVERSA STRATEGIA PER L’ EUROPA UNITA

Porsi l’obiettivo di un’Europa unita richiede la formulazione, teorica e pratica, secondo il costume mazziniano, dei mezzi ad esso adeguati. Ogni fine richiede logicamente strumenti ad esso idonei, sotto l’aspetto teorico e sotto l’aspetto pratico, ambedue, come dovrebbe essere ovvio, tra loro collegati .
Corrispondono a questa esigenza i mezzi e gli strumenti finora adottati ? Non mi pare. Volendo fare un parallelo con la storia del Risorgimento italiano, risulta abbastanza proporzionato il paragone col metodo giobertiano, espresso nel “Primato”. Con cautela (con molta cautela, s’intende), si parte da un’unione economica, si passa attraverso una confederazione dai legami molto labili (s’intende), con l’istituzione di organi politici assai poco efficienti (s’intende), con la speranza più o meno illusoria che diventino (non si sa come e non si sa quando) più efficienti ed energici con qualche cauta riforma, e così via.
Non correre troppo; non si possono ottenere le cose, tutte e subito (come si diceva al tempo della contestazione, per contestarla) .
Ma immaginiamoci un momento (quasi per un esperimento mentale) se durante il Risorgimento la proposta giobertiana non avesse ricevuto così rapida confutazione nel biennio 1848/49 e si fosse potuta attuare con cauta gradualità. Certamente la storia d’Italia non sarebbe stata molto diversa da quella della C.E.E.: si sarebbe costituito un Parlamento, prima per elezione indiretta e poi, forse, diretta, in cui vi sarebbero stati tanti partiti quanti gli Stati moltiplicati per le ideologie e in cui i rappresentanti italiani sarebbero stati piuttosto sardi, toscani, meridionali e pontifici, difensori - volenti o nolenti - dei loro rispettivi governi piuttosto che dei loro popoli, e tantomeno dell’Italia in quanto tale; un Parlamento nel quale i litigi e gli egoismi economici avrebbero paralizzato ogni più ampia e profonda aspirazione. L’Italia, dopo cent’anni, sarebbe rimasta in ogni caso quella che era prima del 1848: questo forse sarebbe potuto andar bene a certi nostalgici dell’ “Austria Felix”, o dei Borboni, ovvero di Gregorio XVI, ma ad ogni modo il risultato sarebbe quasi del tutto opposto a quello a cui lo stesso Gioberti, sia pure con la sua santa e moderata cautela, voleva raggiungere .
La logica esige che la soluzione dei problemi non sia basata sull’eterno rinvio, anche se effettuato con molta abilità; i problemi vanno risolti il più rapidamente ed efficacemente possibile.
Torniamo al Parlamento Europeo: esso esiste ed esisterà di nome, non di fatto, finché i suoi rappresentanti rappresenteranno solo le singole Nazioni e i singoli governi (o, a dir meglio, i singoli egoismi nazionali e governativi) e non il popolo europeo nella sua unità, finché permarrà la paura dell’unità europea piuttosto che il desiderio di essa e la volontà di realizzarla, finchè ci si preoccuperà della produzione di acciaioe di carbone, di burro e di pomodori, piuttosto che del fare dei popoli europei un solo popolo federalmente costituito .
Non la tortuosa e contraddittoria metodologia “giobertiana”, bensì la lineare, logica strategia mazziniana può modificare la situazione europea in senso positivo.
Occorre anzitutto chiarirsi quale Europa vogliamo: se un agglomerato di Stati invidiosi uno dell’altro e tremanti alle decisioni e agli ordini dell’USA e dell’URSS, un’Europa che crede un disastro economico produrre qualche quintale d’insalata in più del malamente previsto, oppure un’unica entità geopolitica e antropica, con la stessa civiltà anche se con origini, lingue e tradizioni diverse, che si estenda dall’Atlantico agli Urali e dal Mediterraneo all’Oceano Glaciale Artico, un’Europa che sia la chiave di volta per una futura unità umana. Nel primo caso può ben essere coerente una fragile confederazione commerciale come la C.E.E., nel secondo assolutamente no.
Posto che l’Europa sia vista come entità federalmente o unitariamente costituita di diritto, è necessario che nel fatto si adottino metodologie coerenti e correlative. Un Parlamento costituito da partiti nazionali è un mezzo non logicamente coerente al fine proposto. Occorre dunque un Parlamento costituito da partiti europei, votati su liste uniche a livello europeo. Occorre che ogni partito, che si consideri europeista, si presenti alle elezioni, anche particolari, con la denominazione di “europeo”, e con rappresentanti europei, con un’organizzazione unica europea, e perché bisogna ben cominciare, proprio i partiti e le organizzazioni di più antica origine europeista e federalista dovrebbero presentarsi con tale denominazione e con tale conformazione (proprio in questi giorni il cosiddetto Partito radicale sta per proporsi come partito europeo: sfortunatamente la scarsa serietà finora dimostrata da quel partito può farci temere che la proposta qui formulata non venga presa sul serio: ad ogni modo, l’importante è, a parere di chi scrive, cominciare. L’unico rischio è lasciare l’iniziativa solo ai cosiddetti radicali [1], invece che ai partiti dalle origini seriamente europeiste).
Agire quindi all’interno e all’esterno del Parlamento Europeo perché vengano modificate le leggi elettorali (rendendo dunque obbligatorie la denominazione e l’organizzazione europea), procedendo quindi alla costituzione di un potere esecutivo europeo sovrannazionale che attui di conseguenza le riforme politiche, sociale, economiche con una visuale europea. Solo in un secondo tempo, le minoranze linguistiche sub-nazionali potrebbero essere ammesse nel Parlamento Europeo per la tutela delle loro specifiche situazioni e dei loro specifici problemi. Ogni partito nazionale deve dunque denominarsi sezione nazionale di un Partito europeo, e mandare suoi rappresentanti in liste uniche a livello europeo, eliminando gli egoismi particolari e formulando ideologie e strategie di carttere europeo, esprimendo temi ed esigenze di valore comune .
Solo così potrà cominciare a cessare quella vergognosa e grottesca polemica sulla sovrapproduzione di merci e, specialmente, di prodotti alimentari, mentre nel cosiddetto Terzo e Quarto mondo si soffre sistematicamente la fame. Si gabella l’uniformità artificiosa dei prezzi delle merci per l’unità morale e politica di un continente (o della sua parte più popolosa) .
I nostri padri (alludo al secolo XIX) in settant’anni seppero cambiare tre volte la faccia dell’Europa, nel bene o nel male. Questo perché non temevano l’audacia nel pensiero e l’energia nel tentare di attuarlo. Noi, in quarant’anni, crediamo di essere granché progrediti perché, premendo un certo numero di tasti, otteniamo immagini colorate in movimento o frasi e numeri che sembrano muoversi da soli, oppure perché possiamo godere del caldo e del fresco, ovvero ancora perché possiamo in pochi secondi annientare innumerevoli specie viventi, ma ci muoviamo sul piano del pensiero e dell’azione politici alla velocità di un micron al decennio, sempre timorosi di correre troppo, di cambiare troppo, di progredire troppo [2].
E’ tempo di rivolgersi nuovamente alle concezioni moralmente epoliticamente rivoluzionarie, soli veri motori del progresso umano, di ridare alla concezione europeistica quella valenza rivoluzionaria, fortemente rinnovatrice che aveva in origine e che, in questo secolo, per opera del democristianesimo, intenzionalmente restauratore di un Sacro Romano Impero di tipo neo-guelfo, si è smorzata, rimpicciolita, deformata .

NOTE :
[1] La storia del Partito Radicale pannelliano è lo sforzo di gonfiarsi come la celebre rana, nei confronti del bue della favola, con i mezzi propagandistici più rozzamente goliardici e moralmente devastanti che possano sorgere nella mente di un politico, senza tuttavia, proprio per questo, aumentare realmente le adesioni. Nel caso citato, l’idea era buona, ma durò assai poco. Fu sostituita negli anni ’90, dall’idea di un “partito transnazionale”, il che ricordava le loro simpatie “transessuali”, anche qui senza alcuna efficacia. Pure l’indossare l’uniforme croata, durante la guerra civile tra Croazia e (allora) Jugoslavia non servì sicuramente a quel partito a ricevere un maggiore appoggio .
[2] Mancavano due anni al crollo del Muro di Berlino, eppure, malgrado le riforme gorbacioviane, l’URSS sembrava ancora un impero ben solido. Invece, il comunismo sovietico, imposto col terrore, senza il terrore crollò come una pera cotta. Il guaio è che tale crollo, invece di condurre sul piano della ragione l’Europa ad unirsi sulla base di una politica e di una teoria sociale molto più avanzata (in cui il cooperativismo doveva fare la parte produttiva sempre maggiore e più rilevante con la progressiva abrogazione del capitalismo), liberandosi dal predominio americano, condusse le classi dirigenti europee a lasciarsi invischiare dal liberismo economico e dall’anarchia finanziaria, e videro nel crollo del comunismo la buona occasione per tornare allo sfruttamento ed allo schiavismo del veterocapitalismo. Una vera Europa non potrà mai consolidarsi ed unirsi sulla base di simili dottrine sociali ed economiche, che sono il massimo della concezione dell’egoismo individualista o di gruppo, con la conseguente regressione anche economica resasi evidente e schiacciante, come quelle del 1929, di cui stiamo tristemente “godendo” .





[In data 18 luglio 2001, inviai - nella mia qualità di Coordinatore del Gruppo Promotore dell’UNIONE POLITICO-SOCIALE DEI CONTRIBUENTI, allora con sede a Trieste di cui sono fondatore con la signora Franca rag.ra Zuliani e il dr. Sergio ing. Gregorat - al Parlamento Europeo quattro Petizioni ai sensi dell’art. 21 del Trattato di Roma (25 marzo 1957, Versione Consolidata) su argomenti diversi: il primo riguardante la forzata “donazione” degli organi; il secondo sul funzionamento della SIAE e della scarsa tutela dei diritti d’autore, in Italia, che vengono intesi ed applicati come diritti dell’editore; il terzo sul diritto di monopolio delle Aziende locali di distribuzione dell’Energia; il quarto, che è quello sotto riportato in forma integrale, costituito da un invito al medesimo Parlamento ad esautorare gli organi deliberativi dell’Unione Europea (soprattutto Commissione e Consiglio Europeo dei Ministri), per sostituirli con un Governo Provvisorio dell’Unione, eletto dal Parlamento Europeo nel proprio seno, per indire elezioni di un’Assemblea Costituente Europea, alla quale avrebbero aderito gli stati che lo avessero voluto, sulla base di princìpi politici e non economico-finanziari. Tale Quarta Petizione, inviata a vari organi di stampa e di informazione, fu pubblicata integralmente ma unicamente da Luigi Bisicchia, in qualità di direttore della Rivista federalista mazziniana “Evoluzione Europea” con sede in Cremona. Quanto al Parlamento Europeo mi venne dato cortesissimo ma solo formale riscontro da parte dell’Organo, che suppongo non ha mai discusso né questa, né le altre petizioni. Della presentazione di tali Petizioni viene data comunicazione anche su INTERNET (Google e Yahoo, cercando il mio nome, e in più lingue, greco compreso). Concidenza (?) ha poi voluto che di una pretesa Costituzione Europea di tipo octroyée si decise nello stesso anno a Laeken, approvata a Roma dai capi di governo e di Stato, che tuttavia venne resa immediatamente inefficace dalla disapprovazione in alcuni referendum popolari (solo l’Italia, considerata evidentemente abitata da una popolazione di minorati o di minorenni, non prevede costituzionalmente l’approvazione popolare con referendum sulla politica estera ed i Trattati. E’ chiaro, invece, che solo una Costituzione approvata da un’Assemblea Costituente europea, debitamente eletta dai cittadini degli Stati che vi aderiscano, possa essere considerata un’effettiva Costituzione, efficace per tutti, e fondamento di un nuovo Stato federale continentale .]

All’ Onorevole Presidenza
del Parlamento Europeo
STRASBOURG (France)
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Trieste, 18 luglio 2001

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OGGETTO : IV Petizione, ai sensi dell’art. 21 del Trattato di Roma del 25 marzo 1957 (versione consolidata) dello scrivente Gruppo Promotore dell’UNIONE POLITICO-SOCIALE DEI CONTRIBUENTI, affinché le Istituzioni dell’ Unione Europea, già previste dalla stesso Trattato, vengano democratizzate, e per l’elezione di un’Assemblea Costituente Europea, che formuli un’unica e democratica Costituzione, estesa a tutti gli Stati ed a tutte le Nazioni che vorranno aderirvi .


PREMESSO CHE

1) Il Trattato di Roma del 25 marzo 1957 era stato formulato per una Comunità Europea di soli 6 Stati, e con intenti di cooperazione quasi esclusivamente economici ;
2) che una vera Organizzazione di tipo politico non può non fondarsi su princìpi e criteri essenzialmente democratici ;
3) che tali princìpi, per potersi attuare coerentemente in leggi chiare e comuni a tutti gli Stati membri, devono essere espressi in una Costituzione scritta, che costituisca un Patto fra popoli e non semplicemente fra Governi ;
4) che l’attuale Unione Europea ha quale unico Organo effettivamente eletto con criteri democratici Codesto Parlamento, mentre altri Organi sono formati con sistemi puramente convenzionali ;
5) che l’estensione dell’Unione ad altri Stati europei, già retti da regimi dittatoriali di tipo comunista, richiede una loro libera adesione sulla base di princìpi politici, piuttosto che economici o finanziari ;
6) che anche il solo punto di vista economico e finanziario, per poter essere solido e riconosciuto con prestigio dagli Stati terzi e da terze Organizzazioni internazionali, richiede un’Organizzazione unitaria, fondata su solide basi politiche ,

SULLA BASE DI PRINCIPI RICONOSCIUTI DALLA CARTA DELLE NAZIONI UNITE, A CUI APPARTENGONO TUTTI GLI STATI DELL’UNIONE EUROPEA ,


SI INVITA CODESTO PARLAMENTO EUROPEO

1) AD ESAUTORARE, IN QUANTO NON FONDATI SU CRITERI DI ELEZIONE DEMOCRATICA, IL CONSIGLIO EUROPEO E LA COMMISSIONE (previsti dagli artt. 7, 11, 12, 13, 14, 15, 99, 100, ecc. del Trattato di Roma del 1957) ;
2) A COSTITUIRE UN GOVERNO PROVVISORIO EUROPEO DEL QUALE FACCIANO PARTE RAPPRESENTANTI DI CIASCUNO STATO E CON UN PRESIDENTE A TURNO, CON L’INCARICO DI INDIRE ELEZIONI PER UN’ASSEMBLEA COSTITUENTE D’EUROPA, FORMATA DA TUTTI GLI STATI ATTUALMENTE MEMBRI DELL’UNIONE EUROPEA, PER LA FORMULAZIONE DI UNA COSTITUZIONE EUROPEA, PRIVA DI PRINCIPI DISCRIMINATORI, NEL SENSO FINANZIARIO O ECONOMICO NEI RIGUARDI DEI FUTURI STATI ADERENTI, PURCHE’ APPARTENENTI AL NOSTRO CONTINENTE E PURCHE’ ACCETTINO, SENZA LIMITI O CONDIZIONI, LE NORME GIURIDICHE E POLITICHE PREVISTE DA TALE COSTITUZIONE .

Distinti Ossequi
**********************
Per il Gruppo Promotore
dell’ UNIONE POLITICO-SOCIALE DEI CONTRIBUENTI
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prof. Manlio Tummolo





Pozzecco di Bertiolo, 10 aprile 2008

Caro Luigi ,

Ho letto la tua lettera inviatami tramite e-mail sull’Europa e i suoi problemi. Per caso, negli stessi giorni leggevo l’articolo di Andrea Chiti-Batelli “Finis Europae” sul Pensiero Mazziniano 2/ 2005, pagg. 160 – 165 .
Non posso che concordare, come ti è facile intuire, con ambedue, e non lo dico da oggi, a seguito delle delusioni sulle metamorfosi (sarebbe ingenuo parlare di evoluzione, che è sempre un processo dal male al bene, dal peggio al meglio, dal bene all’Ottimo) dell’Unione Europea. Perché è successo questo ? Eppure, almeno due grandi occasioni vi sono state per fare dell’Europa una Repubblica federale (io, sinceramente, non amo la formula cattaneana “Stati Uniti d’Europa”, largamente dopo copiata, perché si ispira passivamente ad un modello - gli Stati Uniti d’America - che né ai tempi di Cattaneo né oggi è un buon esempio di Unione federale, quantunque in quelle dimensioni non ne esistano di migliori…, come non amo quelle infantili stelline per rappresentare i singoli membri, anch’esse largamente copiate): una è quella del 1979, con l’istituzione del Parlamento europeo elettivo, che avrebbe potuto essere, come ben rilevato allora da Tramarollo, motore potente di unificazione; l’altra, il crollo dell’Unione Sovietica e del Patto di Varsavia che, eliminando uno spauracchio, avrebbe potuto incoraggiare l’Europa a strappare quel cordone ombelicale dagli U.S.A., riducendone l’influenza negativa nel settore dell’economia, della finanza e della questione sociale internazionali, liberandoci da un liberismo che fin dal 1929 aveva dimostrato largamente la sua insussistenza e precarietà generale.
Invece, nulla di tutto questo: non abbiamo avuto né unità politica, né unità militare, e neppure, se ben si guarda, un’unità economica razionale e ragionevole, ma solo un agglomerarsi di interessi oligarchici dell’alta finanza, capace di stritolare tutte le economie nazionali, e quindi l’economia comune. Divergo da te, come da Chiti-Batelli, su un punto: propriamente parlando non abbiamo avuto neppure una “confederazione”, in quanto se questa presuppone capacità di secessione dei singoli Stati e una larga indipendenza in sede legislativa ed esecutiva delle leggi, pure richiede istituzioni simili (non possono coesistervi monarchie e repubbliche, ma le une o le altre), richiede un potere, anche se solo rappresentativo, centrale e comune, richiede una politica estera comune, un esercito comune, una costituzione effettiva e comune, che fissi i limiti rispettivi tra potere centrale e potere locale o statale che sia (se vogliamo attenerci all’esempio U.S.A., ricordiamo che la Confederazione del Sud durante la guerra di secessione, che seppe - detto di passaggio - tener testa agli Stati del nord per cinque anni circa, non senza clamorosi successi…, corrispondeva ad un modello ben diverso da questa nostra penosamente povera U.E.). Direi, dunque, magari avessimo una “confederazione”, sarebbe un primo piccolo, ma vero, passetto…
La questione europea consiste, a mio parere, nel fatto che nessuno o ben pochi, pur sinceramente favorevoli all’unità europea, come garanzia di pace e di prosperità, hanno delineato un progetto preciso per questa unità, a cominciare dal fatto che il modello americano sarebbe stato inapplicabile in partenza, in quanto gli U.S.A., ex colonie britanniche, in parte francesi ed olandesi, erano caratterizzati da una già esistente unità linguistico-culturale, né avevano avuto tra loro guerre di alcun tipo, e nondimeno, come ho rilevato nella mia seconda tesi, dopo ottant’anni dalla loro unione, hanno dovuto passare per una guerra durissima, cosa che i grandi ammiratori del sistema costituzionale americano disinvoltamente ignorano, dimenticano, o almeno trascurano e sottovalutano. La situazione europea era ben più complessa, e l’unico modello utilizzabile, quasi una forma sperimentale, era soltanto la tri-quadrilingue Svizzera (dico quadrilingue considerando anche il romancio): eppure, proprio la democratica e federale Svizzera evita di entrare nel guazzabuglio U.E. .
Per l’unità europea, a parte retorici o bei discorsi sulla pace, sulla prosperità, sull’amore fraterno, sulle guerre “civili” europee (ovviamente fatte coincidere solo con la Prima e Seconda Guerra mondiale, come se le precedenti per almeno un millennio fossero state solo piccole baruffe), nessuno ha proposto strategie e tattiche di realizzazione, progetti istituzionali efficaci ed altro. Fa eccezione il solo nostro Mazzini, il quale ha, se non altro, creato alcune organizzazioni politiche europee che, se sono fallite, non lo furono a causa sua. Si potrebbe anche citare Filippo Buonarroti, ma costui fondava la sua Massoneria multinazionale su ideali di tipo cosmopolitico settecentesco e tutt’altro che chiari nei loro obiettivi, così più tardi i vari internazionalismi erano un incrocio tra posizioni cosmopolitiche e posizioni nazionali: era da lì che bisognava ripartire. Invece, si è prescelto il sistema giobertiano dell’unione doganale di derivazione germanica : lo Zollverein, e con questa mentalità mercantilistica, limitata a tre soli grandi Paesi, più altri tre minuscoli, si pretese di creare l’Europa, tra l’altro nel mezzo di miserabili litigi sul latte, sui pomodori e sui frigoriferi. Poi, si volle estendere questa mentalità mercantilista a tutti gli Stati che man mano aderivano. Il tutto sembra paragonabile ad un barchetta, piena di falle mal turate, su cui, oltre ai primi sei disgraziati naufraghi, si imbarcassero un po’ alla volta altri tre, poi altri sette, quindi altri dieci, ed avanti. Quando vi entrerà anche il pesante sultano, è assai probabile che la barchetta colerà a picco (eppure, si sarebbe potuta creare una unione euro-mediterranea, su basi ideologiche ed istituzionali ben diverse, piuttosto, visto che la storia del Mediterraneo è unita da molto prima di quella europea…).
Si parla di piccoli passi o di un unico grande passo: ma i “piccoli” passi potevano essere ben diversi che quelli di stuzzicare appetiti economico-finanziari di miserabili oligarchie plutocratiche, ma appunto una confederazione di tipo politico tra sole repubbliche, ad esempio. Quanto al “grande “ passo, quale sarebbe potuto essere: una “guerra di unificazione europea”, come le nostre guerre d’indipendenza ? una rivoluzione parlamentare a Strasburgo ? Il primo sarebbe stato ed è impossibile (chi ne prenderebbe l’iniziativa ?); il secondo richiede un coraggio civile e morale che, come tu stessi rilevi, non esiste, visto che i parlamentari europei amano crogiolarsi nei loro comodi privilegi e nel loro dolce far niente (non solo italiano o mediterraneo, a quanto pare…) .
La serie di errori è stata enorme: sono convinto però che l’ideale di fondo resti valido, non solo in sé ovviamente, ma anche nella coscienza generale: se così non fosse, è da creare una coscienza europea, che non può identificarsi con nessuna istituzione del passato (per intenderci, Sacri Romani Imperi o Imperi absburgici): la coscienza dell’unità europea non può che essere rigorosamente repubblicana, ovvero democratica, ovvero popolare, fondata sul principio storico che le guerre in generale non sono prodotti della volontà di ciascun popolo o nazione, ma sono stati morbosi collettivi provocati dalle ambizioni, dalle sopraffazioni di singoli uomini e gruppi, nel loro esclusivo egoismo. Senza la condizione preliminare di tale coscienza democratica e repubblicana nell’animo di ciascun cittadino europeo e di ciascun gruppo europeo (nazione, partito, associazione, ecc.), la soluzione del problema europeo non può che essere rinviata a tempi migliori, altrimenti tutto continuerà così “finché il Sole risplenderà sulle sciagure umane”.

Con amicizia cordiale ,
Manlio







IL PROBLEMA ISTITUZIONALE PER L’UNIFICAZIONE
EUROPEA (REPUBBLICA O MONARCHIA ?).
UNITA’ EUROMEDITERRANEA ?
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(fine agosto 2009 )


Una delle fondamentali ragioni per le quali l’unità europea si sta realizzando soltanto come un volgare agglomerato di interessi affaristici e pseudoeconomici di determinate alte classi finanziarie d’Europa, piuttosto che come una salda entità politica e giuridica, oltrechè morale, è dovuta al fatto che, malgrado varie proposte teoriche, non ci si è mai chiesti quale assetto costituzionale ed istituzionale si debba dare a quest’Europa, né in senso territoriale (perché per molti decenni le dimensioni non superarono quelle della parte occidentale del continente). Siamo arrivati al punto che i centri di potere della Unione Europea cercano di scavalcare, vergognosamente gli Stati da cui è nata e da cui giuridicamente è composta, per rivolgersi a fantomatiche e feudali “euroregioni”, creature giuridicamente insussistenti che celebrano vecchi imperi e vecchi interessi economici, con ciò favorendo la disgregazione interna ed il caos. Una tale politica è, a mio parere, assolutamente dissennata e certo non favorisce l’unità morale dell’Europa, le cui colonne portanti sono, e restano, le grandi nazionalità.
Nemmeno il Manifesto di Ventotene, nelle sue versioni del 1943 e del 1944, si pose la questione istituzionale (repubblica o monarchia ? quale repubblica o quale monarchia ?), pur costituendo l’atto forse più esplicito in tema politico-organizzativo per una futura Federazione Europea, soprattutto quando, nei paragrafi III delle varie versioni, propone una soluzione non liberista, ma democraticamente e socialmente avanzata, che tenesse conto anche delle esperienze socialiste, e della stessa esperienza comunista, già allora presente nell’URSS e che, di lì, a qualche anno avrebbe interessato tutta l’Europa centrale. Allo scopo di chiarire tale problematica, delineo qui di seguito alcuni punti fondamentali. Il problema istituzionale, sempre sottovalutato da parte delle forze conservatrici, moderate e pseudorivoluzionarie (vedi PSI dalla fondazione alla Resistenza) è invece fondamentale, in quanto, senza una chiara ed esplicita presa di posizione in tale ambito, non si può procedere ai passi concreti. Certo praticume da praticoni della politica non ha mai costituito una fonte di progresso, ma solo di confusione prima, anarchia poi, dittatura o tirannide ancora dopo. Tanto per cominciare, molti europeisti sono catturati dal mito degli “Stati Uniti d’America”, la cui denominazione vogliono estendere all’Europa. In Italia, si ispirarono a questo modello Cattaneo e, più limitatamente, Giuseppe Mazzini [1], ma se tale modello fin circa il 1861 poteva essere considerato valido, dalla guerra di secessione o civile del 1861/ 65 va assolutamente rigettato. Fino ad allora, tale agglomerato di Stati, ancora con una surrettizia impostazione monarchica derivata dalla Costituzione britannica, poteva sembrare una soluzione; ma con tale guerra, gli apparenti equilibri interni saltarono, e solo un uso spietato della forza riuscì a mantenere aggregato a Washington tutto il gruppo degli Stati confederali schiavisti (tralascio qui di affrontare la questione se gli Stati Uniti avessero abrogato la schiavitù, o semplicemente ne avessero modificato le apparenti strutture esterne: nei rapporti sociali, per quanto ne abbia detto Marx, non vi sono sostanziali differenze tra economia schiavista, economia feudale ed economia capitalista, tutte e tre essendo fondate sullo sfruttamento dell’uomo sull’uomo, dei pochi sui molti: ma su questo argomento vedere, nel presente sito la sezione “Scritti Vari”). Ora l’esempio degli USA, apprezzato solo e perché in quanto Stato vincitore e Prima Potenza mondiale (criterio assai discutibile nelle scelte per uno Stato di tipo nuovo, come dovrebbe costituirsi in Europa a fini di pace e di progresso umano), non è oggi ammissibile per l’Europa che deve chiarire la propria struttura istituzionale e le proprie istituzioni sociali, che non devono essere mera ripetizione del passato o del presente.
Vediamo, pertanto, di chiarire alcune concetti fondamentali riguardo alla forma giuridica di Stato che si dovrebbe dare all’Europa unita e al suo principio istituzionale. Distinguiamo quindi tra alleanza, unione economica, confederazione (politica), federazione, Stato unitario (decentrato ed accentrato); tra Repubblica, oligarchia e monarchia: tali distinzioni sono di pressante necessità, perché senza di esse ogni successivo passo sarebbe monco e privo di effettività (detto in generale, ogni azione che non sia prima atto di pensiero, ossia preventivamente studiata e progettata, finisce per nullificarsi, in quanto inefficace; il pensiero non solo precede, ma deve dettare l’azione e deve verificarla durante e dopo il suo svolgersi). Ogni azione, che pretenda di svolgersi senza tale controllo, diventa dispersiva, puro spreco di tempo, un fallimento già assicurato, ancor prima che l’atto cominci; oppure, se anche raggiunga un obiettivo concreto, questo obiettivo si perde in breve tempo, non essendo solidamente delineato e quindi effettivamente raggiunto.

DEFINIZIONI POLITICO-GIURIDICHE :
Laicità dello Stato : a mio parere, i termini “laico”, “laicità” “laicismo” sono concettualmente impropri relativamente al significato che dovrebbero esprimere, in quanto sono termini di origine cattolica [2]. Tuti coloro che non hanno poteri sacerdotali sono “laici”. E’, dunque, curioso che venga usato questo termine da chi non riconosce la funzione interpretativa, intermediaria, di una chiesa qualunque, nella relazione con Dio, o in quanto ateo materialista,o in quanto spiriutualista ma contrario ad ogni pretesa e presunta rivelazione. La rivelazione, attraverso un Libro sacro, ha necessità di interpreti privilegiati, poco importa che si chiamino sacerdoti, preti, pastori, anziani, o che altro (i titoli riguardano rapporti e gerarchie interne alle chiese, che qui non ci interessa affrontare). Chi conosce o pretende di conoscere meglio il Libro, fonte unica ed assoluta di Verità, si fa anche interprete di tale Verità nei confronti dei “profani” o dei “laici, che tale Verità conoscono molto meno. Per tale motivo, il termine “laicità dello Stato” è improprio, ma pure è di largo uso, e pertanto si è costretti ad utilizzarlo spiegandolo. Uno Stato è “laico” quando non riconosce la preminenza giuridica di alcuna religione o di alcuna istituzione religiosa, lascia piena ed intera libertà di fede e di propaganda della fede, nonché di manifestazione rituale, a due condizioni: che i culti non prevedano sacrifici umani o di animali, o riti di tipo sessuale (es.: evirazioni, circoncisioni, laparotomie, clitoridectomie, infibulazioni, rapporti sessuali pubblici, orge) o comunque non corrispondenti ad una moralità severa, ancorché laica. Lo Stato “laico” riconosce, viceversa, che in ogni singola coscienza umana possa e debba manifestarsi una verità, relativa e parziale, in sede logica ed etica, per cui ciascuno può farsi conoscitore ed interprete di uno o più aspetti della verità universale, facendoli conoscere liberamente agli altri. Lo Stato “laico”, che non è Stato ateo e materialista, ammette tuttavia anche la propaganda atea e materialista, purché non vìoli o non sia in dispregio della fede di altri credenti. Lo Stato “laico” non ammette dunque guerre né di religione, né antireligiose, ma il libero confronto tra libere convinzioni. La Verità umana non è conquista di nessuno in particolare, ma un lento processo di ascensione dell’Umanità, verso la Verità universale, nel suo intero processo storico (per un approfondimento, cfr. in questo sito il mio “Scriptorium Telematicum per le discipline teoantropologiche”). Ciò spiega quanto non si tratti di sostenere un “indifferentismo religioso”, bensì la consapevolezza che ciascun uomo e ciascun gruppo possono e devono apportare il proprio contributo alla progressiva conquista della Verità, che resta comunque umana, ovvero comunque parziale e relativa, mai assoluta e totale, perché in questa dimensione appartiene soltanto a Dio per colui che Vi crede .
Alleanza : è un rapporto tra Stati, che può essere di natura economica, politica e militare, in cui ciascuno Stato mantiene integralmente il suo diritto sovrano, e che può essere spezzato in qualunque momento, quando uno Stato consideri tale rapporto non più giustificato dagli eventi o perché non rispettato da uno o più Stati componenti.
Unione economica: è una sorta di alleanza che rafforza i legami puramente economici e finanziari tra gli Stati, fissa alcune regole generali, ma la sovranità di tali Stati comunque permane. Di questo tipo di unione, era la Comunità Europea Economica o il Trattato di Libero Scambio (EFTA), negli anni Cinquanta e Sessanta del XX secolo .
Confederazione politica : si è già visto sopra, riguardo alla concezione europeista mazziniana che il termine “confederazione” può essere anche inteso come processo progressivo di unione tra Stati sovrani per giungere alla sovrastatualità (non, come impropriamente si dice, “sovrannazionalità”, in quanto non sono le Nazioni che vengono superate, ma gli Stati a base mazionale o plurinazionale). Qui invece intenderò il termine “Confederazione politica” come una struttura che potrebbe anche essere fissa, ovvero preparatoria di un’unificazione più stretta. Nella Confederazione, gli Stati mantengono la loro natura e, pertanto, il diritto eventuale alla secessione o alla semplice adesione generica (alleanza); mantengono le proprie istituzioni, precedenti l’adesione; mantengono una propria forza armata distinta da quella comune; mantengono un potere legislativo, esecutivo e giudiziario indipendente dal potere comune; c’è tuttavia un Potere centrale comune che regola la politica estera, la politica economica comune, può possedere proprie Forze armate, un potere legislativo comune di carattere generale e un’ideologia politica e giuridica che serva da impianto comune alle molteplici istituzioni. Nel passato, furono Confederazioni politiche la Svizzera fino alla Guerra del Sonderbund (1844), gli Stati Uniti d’America fino al Compromesso del Missouri (1850 [3]) e la Confederazione degli Stati Americani, proclamatasi indipendente dall’Unione tra il 1861 ed il 1865 (Guerra di secessione); vi furono Confederazioni monarchiche, quali il Sacro Romano Impero di Nazione Germanica fino alle guerre napoleoniche, la Confederazione del Reno (periodo napoleonico), e la Confederazione Germanica (1815 – 1866) sotto presidenza absburgica. Da considerarsi Confederazione, anche se non riconosciuta come tale, l’alleanza militare comunista (URSS e Stati dell’Europa centrale, ovvero Patto di Varsavia e COMECON) .
Federazione : Costituisce un passo in più: esiste un forte potere centrale unitario in sede legislativa, l’ideologia politico-giuridica è comune, caratterizzata da una struttura repubblicana, non necessariamente però anche democratica). Non sussiste diritto di secessione. Esiste un Organo legislativo centrale che decide in senso politico, economico e sociale generale e comune, che delibera su ogni aspetto della vita, anche se non in forma esclusiva, sussistendo poteri esecutivi e legislativi locali, tuttavia limitati nella competenza territoriale e qualitativa; le Forze Armate sono uniche, anche se sussistono forze locali, con scopi d’ordine pubblico (Polizia, Guardia Nazionale o Civica). La politica estera è unitaria e inscindibile, anche in sede commerciale, e come tale è riconosciuta all’estero. Oggi sono Federazioni gli USA, la Repubblica Elvetica, la Repubblica Federale Germanica, la Russia; durante la guerra fredda o prima, lo furono l’URSS, la Repubblica Federativa Jugoslava. Tendono ad essere tali la stessa Repubblica Italiana (in forme giuridicamente poco chiare) e il Regno di Spagna .
Stato unitario decentrato : è caratterizzato da un potere legislativo esclusivo, unico ed unitario a livello nazionale, con unici Organi legislativi a competenza territoriale e qualitativa generale, ma il potere esecutivo è, viceversa, decentrato con poteri deliberativi applicativi locali (gli Organi periferici dello Stato e quelli amministrativi locali devono coincidere ed essere elettivi, almeno nella funzione rappresentativamente più alta); non devono sussistere due o più amministrazioni, come nell’Italia attuale, con non pochi motivi di conflitto nelle competenze), il che richiede forte semplificazione degli uffici e delle funzioni (detto di passaggio, è il sistema che Mazzini prediligeva per la sua Repubblica Italiana, che si sarebbe distinta in grandi Regioni e in Comuni molto estesi, con l’abolizione di Province e Prefetture, ma l’utilizzazione, ove necessario, di sedi intermedie per le funzioni amministrative) .
Stato unitario accentrato : è, tradizionalmente, quello napoleonico, o monarchico assoluto, o ancora dittatoriale (fascismo, nazismo, autoritarismo). I poteri locali sono puramente esecutivi, senza alcuna autonomia; può sssistere uno sdoppiamento delle funzioni amministrative periferiche, con possibilità di conflitto tra enti periferici dello Stato (es.: Prefetto) e enti locali (es.: sindaco o presidente della provincia). L’applicazione della legge comune deve essere rigida, anche in contrasto con evidenti ragioni geografiche e climatiche. L’Italia d’oggi è, confusionariamente, sia uno Stato “federale”, sia uno Stato accentrato, mentre il decentramento del potere esecutivo/amministrativo è assai limitato. Permane lo sdoppiamento degli organismi periferici dello Stato e quelli locali (spesso di origine medioevale e rinascimentale). Di qui, molte delle ragioni della sua tradizionale inefficienza .
Monarchia assoluta e costituzionale : è fondata sul privilegio di una famiglia o dinastia che eredita il massimo potere politico e deliberativo (se assoluta), oppure il solo potere rappresentativo formale (se costituzionale); in essa il sovrano gode di appannaggi e di benefici di antica origine. La monarchia può anche essere elettiva, ma è generalmente a vita (es. : lo Stato Pontificio, lo Stato del Vaticano, la Repubblica di San Marco nella figura del doge). In Europa tutte le monarchie oggi sono costituzionali, anche se non tutte fondate su una Costituzione scritta (vedi Gran Bretagna) .
Oligarchia : è un sistema di governo e di Stato nel quale la sovranità effettiva e formale è limitata ad una minoranza; è aristocratica, se fondata su dinastie nobili o patrizie; è timocratica o plutocratica, se fondata sulla ricchezza o su un reddito abbastanza alto. Qualitativamente, esistono “democrazie” formali (con diritto di voto universale), che però sono oligarchie di fatto, in quanto il potere effettivo o anche quello solo rappresentativo è concentrato nelle mani di pochi (persone o famiglie: vedi ad es. USA e gran parte delle cosiddette “democrazie” nel mondo). In tali pseudodemocrazia, la maggioranza del popolo viene sistematicamente rincitrullita con la propaganda, gli slogans, e soprattutto con i ludi circenses, utili a distrarre la gente comune dai grandi problemi della conduzione di uno Stato. Il divertimento e lo spettacolo, quanto mai cretino e diseducativo, vengono usati come strumenti scientifici di abbassamento del livello morale e culturale della popolazione. Anche la devastazione del sistema scolastico (vedi Italia) risulta un efficace strumento di rimbecillimento generale con analfabetismo politico e perfino grafico .
Repubblica ovvero Democrazia : i due termini sono etimologicamente analoghi, ma hanno solo un’origine storica diversa. Il primo è termine romano “res publica”, ovvero cosa di tutti, cosa o istituzione a cui tutti partecipano con pienezza di competenza e di interesse; il secondo è termine greco, che vuol dire “governo di Popolo”: ovviamente, per governare, occorre che il popolo non abbia solo il potere formale ed apparente di scelta nei candidati di varie parti politiche, ma che abbia piena consapevolezza delle questioni politiche ed amministrative, che sia di alto livello morale (non a caso Montesquieu qualificava questo tipo di Stato e di Governo, come “Governo della Virtù”), in cui ciascun cittadino abbia un elevato grado di cultura generale, politica e giuridica, tale da consentirgli il controllo dei suoi rappresentanti. Per cui, la democrazia è sempre “diretta”, anche quando è “delegata” ma lo sia in modo condizionato. I cittadini, in qualunque momento, qualora siano traditi dal o dai propri rappresentanti, hanno sempre il diritto ineliminabile ed incondizionato di farli decadere e, se necessario, di sottoporli a processo. Ovviamente, non tutti possono fare tutto; non tutti possono avere le capacità per un certo incarico politico, ma tutti devono godere delle condizioni di sapere se un proprio rappresentante realizza gli obiettivi proposti nel modo migliore, oppure fa in tutto o in parte i propri interessi personali o familiari, così da poterlo destituire in ogni momento .
La Democrazia o Repubblica è, dunque, tendenzialmente, Pantocrazia o Pantarchia, ovvero Governo di tutti; di fatto, essendovi ovviamente diversità di pensiero in ciascun cittadino e differenti progetti politici, la Democrazia o Repubblica è una Policrazia, ovvero Governo dei molti, distinguibile in Governo con maggioranza semplice (50 % + 1 fino al 60 / 70 %), ed a maggioranza speciale (dal 70 % al 99 % della popolazione adulta). Nella vera Democrazia o Repubblica il popolo non si limita alla votazione tra un certo numero di candidati, ma decide sulle leggi a carattere generale e su orientamenti politici generali, tuttavia sempre con maggioranza assoluta speciale degli elettori e dei votanti effettivi (esemplificando, non dovrebbe essere valido un referendum qualunque, ove voti meno del 60 % della popolazione adulta e in cui non si raggiunga almeno il 51 % dei voti favorevoli; nel caso di politica internazionale ed economica generale il quorum dovrebbe superare in ogni caso il 70 % dell’elettorato ed il 70 % dei voti validi, per ovvie ragioni, indicate nella sottostante nota <5> ).
Ricordo ancora che l’Italia, a differenza di altri Stati, viene considerata costituzionalmente immatura e “minorenne” relativamente alla politica estera ed alla politica economica (cfr. art. 75 della Costituzione italiana), invece di richiedere maggioranze speciali nel numero di elettori e di votanti. E’ ovvio dedurne che l’Italia, checché si dica, non è retta da una effettiva Democrazia o Repubblica [4] .


* * *
Chiariti questi princìpi e concetti fondamentali, possiamo ora esaminare una proposta per il problema istituzionale nell’Europa unita. A mio convinto parere, l’unificazione europea non deve, né può avvenire, sotto bandiere monarchiche, oligarchiche o pseudodemocratiche, non deve essere gestita con un’economia liberista come l’attuale, ma con un sistema sociale fortemente avanzato, tale da realizzare, sia pur gradualmente, le aspirazioni dei grandi pensatori sociali del XIX secolo, non necessariamente socialisti, ed assolutamente non comunisti .
L’Europa unita deve costituirsi, fin dall’inizio, attraverso un’Assemblea Costituente Europea con rappresentanza di tutti gli Stati nazionali, dei piccoli Stati e delle minoranze etnico-linguistiche, che vogliano aderirvi per ragioni politiche e morali, non per interessi di natura economica e finanziaria. Come detto nella Quarta Petizione al Parlamento Europeo, l’attuale assetto dell’Unione Europea è quello di un aggregato di affaristi, legati esclusivamente da interessi economico-finanziari, rappresentati dalla Commissione Europea e dal Consiglio Europeo dei ministri, oltrechè dalla burocrazia. Se il Parlamento Europeo non avrà il coraggio di assumere il proprio potere deliberativo, in quanto rappresentante dei popoli europei, occorrerà che gli stessi popoli assumano l’iniziativa di liberarci da tali strutture ormai nettamente superate e non corrispondenti alla necessità di uno Stato europeo federalmente costituito. Ovviamente, l’adesione a tale nuova Istituzione deve essere spontanea e sincera, e le elezioni dell’Assemblea Costituente devono comprovarlo [5]. Una volta aderito e votato, il vecchio Stato rinuncia in toto alla propria sovranità, e pertanto ad ogni volontà o velleità di secessione prossima o futura. Si ricordi che tutto il processo deve avvenire in modo pacifico, legale e democratico, con regole ben precise, perché nessuno si senta sottoposto ad una volontà straniera. Se per modo di dire, su 40 Stati attuali del Consiglio d’Europa, ne aderissero solo due, ebbene quei due sussisterebbero come Stato federale, attraendo poi col tempo e con l’efficienza delle istituzioni, gli altri (come pur è avvenuto, e sta avvenendo, con l’Unione Europea, malgrado la sua totale inefficienza). Proprio per questo, nel nuovo Stato tutto deve funzionare nel migliore dei modi possibili e sotto ogni aspetto. Uno Stato mal funzionante, che si regge sulla forza, non può attrarre nessuno.
Nella sua prima fase, l’adesione sarebbe aperta a Stati geograficamente europei; sulla possibilità di adesione di altri Stati tratterò nel paragrafo finale sull’unità euromediterranea .

NON STATI UNITI D’EUROPA, MA REPUBBLICA FEDERALE EUROPEA:
Come sopra anticipato, il termine, spesso proposto per ammirazione o piaggeria verso la prima Potenza mondiale d’oggi, di “Stati Uniti d’Europa” è deprecabile per le più varie ragioni: gli USA non possono considerarsi un modello di democrazia socialmente avanzata e neppure di “democrazia” genericamente intesa, bensì di una “timocrazia” a suffragio dichiaratamente universale, di fatto ben più limitato; tale termine non risolve la questione istituzionale, per cui alcuni di tali Stati sarebbero “monarchie”, siano pur costituzionali, altri oligarchie, altri ancora pseudorepubbliche e pseudodemocrazie. Vi è un altro fattore, di notevole importanza, che distingue in ogni caso, culturalmente ed etnicamente, l’Europa dagli USA: questi ultimi, benché nati dalla fusione tra tre culture europee, l’inglese, la francese e l’olandese, con qualche influenza iberica (in tutta la fascia meridionale dalla California alla Florida vi era presenza spagnola e francese), il cemento che unifica tale Federazione è dato dalla lingua e dalla cultura di tipo anglosassone, nonché gran parte delle istituzioni e delle tradizioni ivi presenti è anglosassone. In Europa, vi è tutt’altra situazione: la presenza di lingue, culture e tradizioni è ben più complessa, né una può prevaricare sulle altre (anche quelle minime), senza suscitare reazioni di rigetto e secessione. Dunque, è inesorabile sostenere che il cemento dell’auspicata Federazione europea, rispetto a quella americana, deve consistere nella solidità ed unità delle sue istituzioni future, delle sue leggi fondamentali (a partire da una seria Costituzione, che non deve essere octroyée, ovvero un agglomerato di trattati e trattatelli fatti passare impudentemente per Costituzione, per passare al Corpo dei Codici legislativi, con le fondamentali Leggi civili, penali, procedurali, militari, marittime ed aeree, che regolino i fondamenti del nuovo Stato, mentre ai vecchi Istituti legislativi nazionali, comunque da riformare, potrebbe essere lasciato un potere legislativo minore a competenza territoriale, non di carattere concorrenziale, ma speciale, relativo alle tradizioni di ciascun ex-Stato, evitando ogni contraddizione formale e sostanziale). Faccio due esempi concreti: come si debbano punire gli atti criminali, dovrà essere deliberato dall’Organo legislativo federale, come si può produrre il vino o il formaggio, potrà ben essere deciso a livello nazionale; quale debba essere un sistema tributario generale, sia fissato dal Codice Civile o Amministrativo europeo, quale debba essere la percentuale di imposta secondo esigenze determinate, sia fissato dal singolo ex- Stato entro limiti preventivi .
La questione istituzionale non solo deve essere posta, ma deve essere posta in termini rigorosamente e imprescindibilmente repubblicani e democratici, a struttura sociale avanzata. Lavoro e lavoratori, nelle più svariate mansioni, devono essere considerati le colonne portanti del nuovo Stato. Il termine “Stati Uniti” presuppone l’origine confederalista e plurale dello Stato, per cui invece occorre puntare immediatamente all’unità preventiva e basilare dello Stato. In esso, nessun privilegio, e tantomeno privilegi dinastici e feudali possono essere considerati accettabili, neppure nella forma o nell’apparenza. In esso, nessun parente stretto di un capo di Stato, per almeno 100 anni, dovrebbe diventare a sua volta capo di Stato e neppure di Governo (incompatibilità tra la parentela di un capo di Stato o di Governo e la carica di questo tipo, onde evitare ogni surrettizia ereditarietà del potere politico generale), cosa che ben sappiamo sussistere invece negli USA, dove pesano fortemente le parentele tra famiglie, in sede politica, come eredità storica della monarchia britannica .
L’iniziativa per un’Assemblea Costituente europea in linea teorica potrebbe essere assunta tanto dal vecchio Consiglio d’Europa, in quanto primogenito Istituto internazionale, quanto dal Parlamento dell’Unione Europea in quanto rappresentativo attraverso elezioni a suffragio universale della volontà dei popoli d’Europa. Considerata la situazione conservatrice della mentalità dei rispettivi dirigenti, che sì allargano gli ambiti di questi istituti, ma nel tempo stesso mantengono norme di quando si era all’inizio di un lento processo, qualunque Stato potrebbe assumerne l’iniziativa, sia la Repubblica Elvetica (che ne fu uno dei primi nuclei), sia Stati da poco entrati a far parte dell’Unione Europea. Potrebbero promuovere tali elezioni anche movimenti ed organismi politici europeisti, quale il Movimento federalista Europeo. Posto che almeno due o tre Stati aderiscano a tale progetto, verrebbero svolte le elezioni a suffragio universale, con età minima non inferiore ai vent’anni compiuti (a 18 si raggiunge sì e no una maturità fisica incompleta, ma sul piano psicologico, oggi soprattutto, 18 anni sono pochini per avere idee chiare su grandi tematiche: i 18 anni potrebbero essere accettabili per elezioni amministrative locali), con metodo proporzionale sulla base di liste uniche plurinazionali. I voti nulli, il non voto e i non eletti dovrebbero essere, non assorbiti da altre liste, bensì da seggi vuoti, su cui campeggi la scritta “non eletto” - “non votato”. Tale criterio dovrebbe essere adottato anche per i Parlamenti nazionali . L’Assemblea Costituente Europea, come il futuro Organo Legislativo, dovrebbe essere diviso in tre sezioni di pari dimensione: la prima rappresentare tutta la popolazione interessata; la seconda la popolazione delle Nazioni maggiori; la terza i piccoli ex-Stati e le minoranze etnico-linguistiche presenti in uno o più ex-Stati; tale sezione, onde rappresentare meglio esigenze che altrimenti verrebbero sommerse, potrebbero ottenere un doppio voto per ciascun costituente e rappresentante. La procedura di voto esprimendo la coscienza del rappresentante del popolo, dovrebbe essere generalmente segreta (onde non consentire alleanze preventive), e solo in specifici casi nominale .
Non essendo profeta, e non essendo neppure un visionario, ciò che segue vale a puro titolo esemplificativo di quella che secondo me dovrebbe essere tale Costituzione. Oltre ai soliti princìpi fondamentali, occorrerebbe elencare prima i doveri, poi i diritti di ciascun uomo e cittadino, sulla base del criterio mazziniano secondo il quale “il diritto non è che conseguenza di un dovere compiuto”. Fatte salve, ovviamente, le esigenze vitali di ogni individuo, ben rappresentate negli stessi Princìpi fondamentali, che devono precedere ogni ulteriore asserzione giuridica, occorre instillare nella mente del popolo che il diritto vale solo in quanto corrispettivo del dovere. Chiarisco tale concetto: la Legge tutela l’interesse del cittadino, purché non in contrasto con la Legge, ma purché, ad esempio, il cittadino realizzi quanto gli spetta per quella legge che poi lo favorisce. Prima si pagano i tributi previsti, ovviamente secondo criterio di giustizia sociale ed economica, poi si utilizzeranno i servizi consentiti da quegli stessi tributi. In parole povere, se non pago le tasse, non ho diritto ad usufruire del servizio che tali tasse consentono. Non posso usufruire, generalmente parlando, di un’assistenza medica, se non verso i necessari contributi perché tale assistenza possa funzionare. Non posso essere difeso in caso di aggressione, se, parlando generalmente, non verso le imposte necessarie a far funzionare un ordine pubblico ovvero una polizia. Non ho diritto alla libertà se non sono rispettoso di norme, la cui violazione prevede la privazione della libertà. Spero di essere stato chiaro. Non è questione di pura apparenza, bensì di educazione civica e morale, troppo trascurata in quasi tutte le Costituzioni: l’adempimento del diritto è conseguenza di un dovere compiuto; l’ulteriore compimento del dovere è poi condizionato dall’ulteriore adempimento del diritto. Non basta un’elencazione astratta dei doveri, occorre che tale esposizione preceda quella dei diritti. Le esigenze vitali, senza le quali non si possono attuare i propri doveri (es.: senza cibo, non posso lavorare anche volendo), siano indicate nei Princìpi fondamentali .
Relativamente alla capitale della Federazione europea, sede dei suoi organi supremi, si possono decidere due o più criteri, eventualmente: un criterio storico ed un criterio geografico-territoriale. Posto che tale Federazione sia estesa, come da me auspicato secondo la traccia data ancora da De Gaulle dall’Atlantico agli Urali e dall’Oceano Glaciale Artico al Mediterraneo (questa comunque deve essere la tendenza finale, anche se non immediatamente raggiungibile), e dunque corrispondente all’Europa geografica, le capitali secondo il criterio storico dovrebbero essere Atene o Roma, fondatrici dell’idea d’Europa e della sua unità politica; secondo il criterio territoriale una delle capitali dell’Europa centrale (Vienna, Berlino, Varsavia, Praga, Costantinopoli - purché non turca). Strasburgo, Bruxelles e simili, residuo della Comunità Europea di sei Stati, sarebbero troppo periferiche, e reminiscenza del Sacro Romano Impero, che risulta, a mio parere, un’Anti-Europa, limitata nello spazio e feudale nelle sue istituzioni, un organismo putrescente, non un organismo vivo e progressivo .
Le Istituzioni fondamentali del potere legislativo siano realizzate, come sopra anticipato, in un unico Organo, eletto con gli stessi criteri dell’Assemblea Costituente sopra indicato. Per esso propongo i grandi nomi della tradizione democratica ateniese, ovvero Areopago Legislativo ovvero Boulè, tralasciando i soliti nomi di origine romana (Senato) o medioevale (Parlamento). Il potere esecutivo sia collegiale, rappresentato da organi elettivi, sul modello del Direttorio elvetico, rigorosamente esecutivo delle deliberazioni dell’Organo Legislativo (dunque, non fondato su maggioranze preventive e precostituite), e che rappresenti tutte le Nazioni o gli ex-Stati. Uno almeno dovrebbe essere costituito da un rappresentante delle minoranze e dei piccoli Stati. Il sistema dell’alternanza alla presidenza o all’incarico di coordinamento di tale Organo, che avrebbe funzione anche di rappresentanza morale e di unità simbolica della Federazione. La lingua ufficiale della Federazione, nei rapporti con altri Stati e Federazioni, potrebbe esser l’inglese; nell’eventualità, tuttavia, che la Gran Bretagna non ne faccia subito parte, la lingua ufficiale sia una delle seguenti: esperanto, francese, tedesco, italiano, spagnolo, russo. Oppure, potrebbero anche essere adoperati il latino o il greco antico. Per i rapporti interni, viceversa, non deve esserci alcuna lingua preminente (neppure tra grandi lingue nazionali e lingue di minoranze etniche), e tutto sia affidato a enti di interpretazione e traduzione efficienti e funzionali. Il potere giudiziario europeo dovrebbe sia rappresentare il grado massimo di ricorso, sia tutti quei reati che coinvolgano i rapporti tra le Nazioni o ex-Stati. Nel primo caso la sede dovrebbe essere concentrata nella capitale, negli altri decentrata in primo ed (eventualmente) secondo grado in ciascuna Nazione. Riguardo a reati minori, comunque giudicabili attraverso l’unico Codice Penale e di procedura (unificare per quanto possibile le procedure civile, amministrativa e penale, senza arcaici residuati giustinianei e medioevali, e con le sole differenze di stretta natura tecnica), la competenza sarebbe di ciascun sistema giudiziario nazionale, salvo il ricorso massimo (quello che oggi è rappresentato dalle Corti di Giustizia e dei Diritti dell’Uomo) al Collegio Europeo di Verifica sostanziale e procedurale. Propongo di abbandonare il termine di origine medioevale “Corte”, che rimanda ad una mentalità monarchico-feudale di origine barbarica, preferendo sempre il termine “Collegio” oppure “Organo”.
Nella politica estera occorre perseguire al massimo grado una politica pacifica e di buoni rapporti con ogni altro Stato ed Organizzazione, purché non servile, accettando anche alleanze politiche e militari eslusivamente su basi paritarie .
Infine, un cenno alla difesa militare: la Repubblica Federale Europea, rivendicando la piena indipendenza da ogni altro Stato e l’assoluta sovranità sul proprio territorio, deve escludere ogni presenza ed ingerenza militare straniera dal proprio territorio, quindi espellere le Forze armate di ogni altro Paese ovvero Organizzazione internazionale (es.: ONU) non aderente alla Federazione. Bisogna quindi sfrattare le basi militari americane, creare proprie Forze Armate sulla base di una leva generale (Nazione Armata), con servizio militare di un anno per tutti i giovani abili alle armi (gli altri potrebbero far parte di servizi civili o amministrativi a favore della popolazione), in modo da mobilitare almeno un centesimo della popolazione maschile (le donne, volontarie, dovrebbero far parte solo del servizio civile o amministrativo, e non di unità di combattimento). A partire dal quinto anno dalla prima leva, ogni cittadino abile potrebbe essere richiamato per 5 – 6 mesi, a scopo di aggiornamento e riaddestramento. In caso di azioni di guerra (sempre e solo per la difesa del territorio federale), la mobilitazione potrebbe essere generale e maschile dai 20 anni fino ai 55. Relativamente alle Forze dell’Ordine, si potrebbe creare una Polizia Federale e Polizie nazionali, secondo la realtà già esistente, anche se progressivamente riformabili, in modo da unificare mentalità e metodologie, in senso assolutamente democratico (divieto di violenze, divieto dell’uso della forza non proporzionata all’esigenza del momento, divieto di tortura, massimo uso della prevenzione, metodo investigativo fondato su documentazione visiva, uditiva, testimonianze, infiltrazione nelle organizzazione criminali, ecc.).
Riesamino più ampiamente la questione sociale ed economica: si è detto che l’Europa, per unirsi saldamente, deve fondarsi non sulle solite usanze economico-sociali basate sui privilegi e sullo sfruttamento del più forte sui più deboli (una tale unità avrebbe sempre in sé il germe della divisione e della lotta di classe, motivi o pretesti per ogni possibile futura secessione), bensì sulla parità giuridica tra i cittadini e sula proporzionalità tra lavoro e reddito, in modo che le differenze tra il minimo vitale ed il massimo non dovrebbe superare il rapporto 1 : 5 o, tutt’al più, 1 : 10, nel senso che il reddito minimo vitale sia 1, il reddito massimo 5 o 10, non oltre, e solo per alti casi di responsabilità verso la vita altrui (es.: medici, comandanti militari, docenti) e di rischio della salute e della vita (es.: minatori, operai d’industria, muratori). In questo quadro sociale, l’idea che uno possa nascere capo di Stato perché figlio di un capo di Stato, o esserlo a vita solo perché eletto una volta, è del tutto aberrante, e va rifiutato: quindi, in una tale Repubblica, nessuna ereditarietà del potere, nessuna carica politica vitalizia, neppure se soltanto rappresentativa. I titoli nobiliari potrebbero anche essere mantenuti, come soprannomi di famiglia, ma senza aggiunta della località (es.: conte, e non: conte di X). Nessun lavoro deve essere considerato meno dignitoso di un altro, ma il criterio di selezione e di valore va dato, in generale, sulla base della responsabilità verso altri o sul rischio, come detto sopra. Tale gerarchia riguarda non la dignità morale dell’attività lavorativa, bensì puramente il reddito che tale attività dovrebbe consentire .
Il passaggio dall’attuale economia plutocratica o timocratica liberista ad un’economia paritaria e cooperativista pura, dovrà avvenire per gradi, certamente. Ma il Governo della possibile Republica federale non dovrebbe mai consentire che si diano finanziamenti ai già ricchi, ma sostenere sempre e solo attività cooperative. Poniamo che una certa impresa capitalistica sia sul punto di fallire: di norma, con la complicità sindacale, il gruppo dirigente va a battere cassa dallo Stato (disprezzato se si occupa di economia, ma assai benvoluto quando largheggia in sostegni a fondo perduto). Ebbene, un Governo seriamente repubblicano direbbe al gruppo dirigente: “Vendimi a prezzo di mercato gli immobili e le macchine, dopo di che non svolgere più simile attività economica”. Offrirebbe poi ai dipendenti, a condizioni di favore, un prestito a basso tasso di interesse, al fine di trasformare l’attività in società cooperativa pura. Ciò richiede due presupposti: l’esistenza di una Banca Federale pubblica (non privata) ovvero statale, in condizione di erogare prestiti di vario tipo (sostituire al principio medioevale, feudale o principesco, del debito pubblico il principio repubblicano del credito pubblico) e il principio che il concetto di lavoro dipendente deve cedere il posto al concetto di lavoro autonomo individuale o cooperativo, ovvero il lavoratore dovrebbe essere sempre padrone di se stesso, e non servo di qualcuno. Solamente lo Stato potrebbe avere dei “dipendenti”, come ad esempio i militari, le Forze dell’ordine, taluni tipi di impiegati, ecc. . La Banca Federale Repubblicana deve essere un’istituzione finanziaria statale (con propri dipendenti), unica nella Federazione a battere moneta e ad emettere biglietti bancari. La moneta federale non dovrebbe chiamarsi con l’infelice nome di “euro” che, non dimentichiamo, è il nome di un vento. A titolo esemplificativo, potrebbe assumere uno dei nomi classici di “dracma”, ”denario” o “talento”. Quanto ai lavoratori, potrebbero progressivamente passare dall’associazione in sindacati a quella di liberi lavoratori e in cooperative legate a loro volta a determinate aziende. La concorrenza, tipica del regime capitalistico, va trasformata in una gara di qualità, piuttosto che in una gara di bassi costi di produzione, non essendo più necessario che vi sia chi divori il 50 % delle entrate o più, mentre la grande maggioranza deve accontentarsi di divideresi il restante 50 % o meno. Il “patto leonino” dovrebbe essere, al termine del processo sociale, considerato reato finanziario .
Un ultimo discorso su una questione simbolica, ovvero la bandiera della Repubblica Federale Europea. Quella attuale, del Consiglio d’Europa e dell’Unione Europea (dodici stelle d’oro in cerchio in campo blu), è un evidente derivato da quella americana. Io proporrei un più elegante ed evocativo vessillo: il ritratto, che si trova in Aquileia, della ninfa Europa rapita dal toro Giove, su campo lillà o violetto leggero. Scritta in latino in oro a semicerchio, con caratteri latini, greci e cirillici, sopra la citata immagine: “RES PUBLICA FOEDERALIS EUROPEA”. Se si vogliono evocare le Nazioni componenti, i loro simboli in piccolo potrebbero essere riprodotti su un lato della bandiera al posto delle insignificanti ed infantili stelline .

* * *
Queste, in conclusione, le linee generali e fondamentali per una sana e funzionale Repubblica Federale Europea .


DELL’ UNITA’ EUROMEDITERRANEA
Lo storico francese Henri Pirenne sosteneva che l’unità mediterranea, creata da Fenici, Greci e Romani perdurò fino all’espansione araba. La costituzione dell’Impero e dei regni islamici sulla costa africana e in Spagna ruppe tale unità. Se parliamo in senso giuridico-politico, tale unità si ruppe anche prima con le invasioni barbariche e solo in parte recuperate dalla grande controffensiva di Giustiniano. Se parliamo in senso culturale e commerciale potremmo dire che, se mai fu rotta, ciò avvenne non tanto con gli Arabi, a cui dobbiamo termini marinari, astronomici e scientifici in generale, quanto con l’affermarsi dell’Impero Ottomano e lo stato pressoché permanente di guerra marittima e terrestre che ne derivò per circa due – tre secoli. Volendo poi andare oltre il semplice fatto bellico, l’unità mediterranea non si ruppe mai del tutto. Per questo, non mi sembra erri del tutto colui che sostiene utile e possibile la ricostituzione dell’unità mediterranea, stavolta come vera e propria unità giuridico-politica euromediterranea. E’ ovvio che, se siamo ancora lontani dall’auspicata Repubblica Federale Europea, lo siamo ancor di più dal ripristino dell’unità mediterranea. Osta a tale progetto, soprattutto l’enorme differenza di mentalità morale e politica insorta tra mondo laico europeo e mondo musulmano. Ancorché l’Islamismo vero, che nulla ha a che vedere con certi estremismi attuali, fanatismi, unilateralismi, fondamentalismi, integralismi violenti ed antiumani, sia la più “laica” delle religioni del Libro (mosaismo, cristianesimo ed islamismo), la rigida credenza nella Verità del Corano e del pensiero del suo profeta Mohammed o Muhammad, fa sì che la differenza fra le due sponde del Mediterraneo sia netta ed assoluta, forse ancora maggiore di quando due religioni, accusandosi reciprocamente, di miscredenza, si combattevano con le varie guerre. Il guaio è che né il colonialismo prima, né la politica anticoloniale occidentale del secondo dopoguerra, hanno operato per favorire e potenziare movimenti laici nei Paesi arabi: primo, puntando sul principio di nazionalità piuttosto che su vuoti internazionalismi; secondo, incrementando anche con opportuni finanziamenti lo studio della filosofia razionalista araba nelle forme del neo-aristotelismo e del neo-platonismo (ovvero, Averroè, Avicenna, Maimonide, Al Farabi). L’errore più grave, compiuto dagli USA, fu quello di alimentare il fanatismo islamico in funzione antisovietica: ora abbattere vecchi mostri con mostri nuovi è sempre stata una pessima strategia. Non andrebbe dimenticato che tale fanatismo trova la sua culla negli USA con i Musulmani Neri, il Black Power, e così via [6].
La speranza di ripristinare e migliorare l’unità euromediterranea presuppone così lo stacco severo del mondo linguisticamente e culturalmente arabo dalle posizioni estreme dell’Islamismo, in una parola la laicizzazione degli Stati di lingua e cultura araba, ritrovando le origini “nazionali” dei popoli che si affacciano sul Mediterraneo, in primo luogo gli Egiziani ed i Turchi. Nell’Islamismo puro (non fondamentalista, tollerante, quello che parte dal principio che “Allah è grande e misericordioso”), non dovrebbe essere difficile trovare una base comune di confronto e di conciliazione tra principio religioso universale e principio politico nazionale. Altro Stato che potrebbe diventare ponte tra le religioni è la stessa Repubblica di Israele, qualora si liberasse da certi eccessi biblicisti e dal mito della “Terra Promessa”. Tradizioni pre-laiche possono altresì trovarsi in Stati come Cipro, l’Algeria, la Tunisia ed il Marocco. Ovviamente tutto ciò può sembrare utopico e lontano oggi, ma non lo è in senso assoluto. Quindi, il primo lavoro che una Repubblica Federale Europea potrà e dovrà fare in tale sede (lavoro essenziale, doveroso, non dimenticando che è l’unico che può distruggere lo spettro del terrorismo fondamentalista, ed anche ridurre, se non eliminare i movimenti neonomadi dell’Africa), è richiamare le origini storico-politiche degli Stati afro-mediterranei e il principio della tolleranza religiosa, non assente nella tradizione razionalista araba: questo presuppone la creazione di istituti di ricerca interculturali di livello universitario ed internazionale, cominciando dall’Europa stessa e diffondendo tali conoscenze, per quanto possibile, tra coloro che sono già immigrati in Europa . Infatti, la cultura e la scienza, non le chiacchiere e gli slogans acritici e pubblicitari, favoriscono una reale integrazione .
Il secondo passo di tale Repubblica Federale dovrà essere quella, sulla linea di una politica economica e commerciale già sussistente, creare forme di associazione di questi Stati, una volta che in essi vi siano solide garanzie, altrimenti rischieremmo di affondare ed affogare il tutto, creando forme di alleanza, unione economica e anche, dove possibile, di confederazione politica. Analogo discorso, ad es., si può avere per i noti rapporti tra la Russia europea, che potrebbe essere inserita - se lo volesse - nella Repubblica Federale in tempi relativamente brevi, ed alcuni degli Stati asiatici già aggregati all’URSS. Così, l’idea “laica”, repubblicana, democratica potrebbe cominciare ad allargarsi a tre continenti, mentre analoghi ed autonomi processi potrebbero avvenire nel continente americano, ove gli Stati più evoluti si unissero in Federazione, e soprattutto gli USA smettessero ogni idea di egemonìa continentale e mondiale, e cominciassero ad operare per il bene generale dell’umanità .

NOTE :
[1] Il pensiero di Carlo Cattaneo non è poi così specifico sull’europeismo, come spesso si sostiene: alla fine dell’importante scritto “Dell’Insurrezione di Milano nel 1848 e della successiva guerra - Memorie”, dello stesso anno, egli così afferma :
“… Il principio della nazionalità, provocato e ingigantito dalla stessa oppressione militare che anela a distruggerlo, dissolverà i fortuiti imperii dell’Europa orientale, e li tramuterà in federazioni di popoli liberi.
Avremo pace vera, quando avremo li Stati Uniti d’Europa” (cfr. ed. BUR, Milano, 1999, pag. 743). Tale formula ebbe notevole fortuna e, verbalmente, vi aderì anche Mazzini, il cui giudizio sugli USA non è tuttavia sempre favorevole, sia pur ammirandone la crescente influenza e potenza nel mondo :
“ Andreste errato di molto e credeste me e quelli che stanno con me intolleranti, esclusivi adoratori dei principii democratici repubblicani e trattenuti per quelli dall’unirci a voi. L’avvenire democratico repubblicano, non al modo degli Stati Uniti [il neretto è mio] ma ben altrimenti religioso e derivante dall’autorità bene intesa, m’apparisce così inevitabile, così connesso col disegno provvidenziale che si manifesta nella progressione storica dell’umanità, ch’io non sento bisogno alcuno d’essere intollerante…” : tale scritto è in una lettera a Giuseppe Montanelli del 1847, riportata in “Note Autobiografiche” , Cap. XIX - ed. BUR (Milano, 1986, pag. 352), dove si denota l’atteggiamento critico nei confronti degli USA. Comune fu tale atteggiamento anche nel Cattaneo, come dimostra Raimondo Luraghi, nello svolgersi della guerra di secessione .
[2] Recentemente la Chiesa Cattolica ha chiesto, ma non ottenuto, che nel Trattato Costituzionale dell’Unione Europea si proclamassero le origini cristiane dell’Europa. A parte le questioni ideologiche, ciò è storicamente falso o solo molto parzialmente vero: l’Europa, in quanto entità, è geograficamente concepita dalla cultura greca, tanto da mitizzarne la figura (la fanciulla rapita da Giove, in veste di toro), e diventa una realtà, almeno nella sua parte mediterranea prima nel confronto fra Fenici, Cartaginesi, Greci ed Etruschi, poi con la grande unificazione politica di Roma. Il Cristianesimo nasce, propriamente, come gruppo “eretico” dell’ebraismo, una sorta di frangia degli Esseni, e soltanto attraverso le istituzioni romane, che fa proprie, si estende a tutto l’Impero. Fuori dell’Impero, a parte i nestoriani e i Copti d’Etiopia, il Cristianesimo non ha contato nulla. Più tardi ancora, con l’espansione coloniale europea, il Cristianesimo potè presentarsi in tutti i continenti, ma già diviso. Dunque, più che “radice” dell’Europa, il Cristianesimo è “frutto” dell’Europa .
[3] Il Compromesso del Missouri del 1850 stabiliva la linea Mason-Dixon, che separava gli Stati del sud (schiavisti e confederalisti) dagli Stati del nord (non schiavisti, talvolta anti-schiavisti e federalisti). Durò 11 anni per precipitare nella Guerra di Secessione .
[4] Riguardo alla definizione di una parte dei termini, soprattutto nei rapporti tra Stati, consiglio di consultare : Luigi Bisicchia, “Prontuario del Cittadino Europeo”, ed. ASE Agenzia stampa europea (Cremona, maggio 1989) .
[5] L’adesione potrebbe essere realizzata, in modo da risultare incontrovertibile, attraverso un referendum popolare in ciascuno Stato sulla base della formula “Voglio aderire alla Repubblica Federale Europea: SI’ o NO ?”; accettata l’adesione da parte di una maggioranza speciale (es. il 70 % dei votanti favrevoli su almeno il 70 % degli elettori), verrebbero indette in ogni Stato aderente l’elezione dei candidati in liste uniche a livello europeo, con suffragio universale, metodo proporzionale puro: la percentuale dei voti dovebbe corrispondere alla percentuale dei seggi; i non eletti, perché non entro il quorum o i non votati, dovrebbero essere rappresentati da seggi vuoti. Facciamo un esempio: poniamo che il numero di elettori complessivi in uno Stato singolo sia di 30.000.000, e che voti il 70 %, ovvero 21.000.000 di cittadini. Di questi siano favorevoli all’adesione il 70 %, il 20 % contrario, il 10 voti scheda bianca. Ciò significa che i favorevoli nel singolo Stato sarebbero 14.700.000, ovvero un po’ meno della metà degli elettori complessivi. E’ evidente che percentuali inferiori condizionerebbero la sincerità piena dell’adesione di uno Stato .
Dati questi presupposti, si può stabilire fin dai princìpi fondamentali della Costituzione che, una volta entrati nella Repubblica Federale Europea, la possibilità di secessione debba essere negata.
[6] Il carattere, sempre estremo, del principio religioso negli USA andrebbe opportunamente studiato. A partire dal XIX secolo tutte le stramberie estremiste, in campo religioso, dai fondamentalismi delle religioni tradizionali, a quelle inventate di sana pianta, allo spiritismo, trovano la loro culla ed incubatrice negli USA. Non bisognerebbe mai dimenticarlo quando si cercano le cause dell’attuale malessere. Tipica poi degli USA, marchio dei Padri Pellegrini fondatori, fu la smania di convertire tutto e tutti, con le buone o con le cattive, ai loro programmi. Anche i movimenti religiosi più pacifisti hanno una bella dose di aggressività, se non altro verbale .
    
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